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sabato 10 settembre 2016

La forza della Pedagogia e l'innocenza della fanciullezza: due mondi a confronto che caratterizzano l'Essere


Abstract:
L'articolo si interessa di precisare l'importanza della pedagogia nella formazione del bambino, che mai come oggi vede a rischio la sua fragilità e la propria innocenza. Un articolo in difesa dell'infanzia, in difesa dell'identità dei futuri uomini del domani e che sottolinea l'obbligo degli addetti ai lavori e della famiglia di insegnare al fanciullo la distinzione tra il bene e il male del mondo.


Accade spesso, sia in ambiente didattico che quotidiano, di osservare la personalità e le peculiarità di chi ci circonda. Ovunque – ogni volta che la persona si apre al mondo – scorge: nei visi e nei gesti di coloro con cui entra in contatto, tratti tipici ed unici che ne compongono lo schema educativo e democratico dell’essere. Ogni buon pedagogista deve saper capire l’altro e, a sua volta, farsi capire da esso; non esiste – e non deve esistere – tra educatore ed educando un rapporto “unidirezionale”, bensì va generato ed incentivato un modello comunicativo “interattivo”.


       Chi educa, deve saper farsi comprendere e, d’altro canto, chi viene educato deve saper ascoltare e sviluppare con l’aiuto del docente quelle che sono le sue qualità innate. L’etimo stesso del termine educazione significa: “tirar fuori”, “estrapolare” ciò che si ha dentro. Le competenze acquisite, sono un di più dei tratti che, sin dalla nascita, distinguono l’essere umano; determinati comportamenti sono intrinseci nell’uomo. Anche Carl Gustav Jung sosteneva questa tesi, attribuendola perlopiù ad un fattore congenito, ovvero, la famiglia d’origine trasferisce – o meglio – impianta nell’animus per le donne e nell’anima per gli uomini istanze predefinite che comporranno le future competenze della persona adulta. Perché animus e perché anima? Qual è la differenza tra i due termini? L’animus, coniato dallo stesso Jung è: la componente essenziale presente nella crescita di un soggetto di sesso femminile che, si identifica, in tutte le figure maschili che incontra durante la sua formazione, attribuendone ad esse un aspetto di predominanza nella personalità rispetto alle figure femminili; l’anima al contrario è presente nell’uomo come raffigurazione della figura femminile – stavolta unica, anziché molteplice come avviene nelle donne – amata e venerata, così come la rappresenta nel suo inconscio. Le caratteristiche umane innate, che sono presenti in ogni essere umano, formano per Jung il cosiddetto inconscio collettivo; oltre ad anima ed animus, sono fondamentali per il grande studioso in questione altri due elementi: il sé e l’ombra. Il sé è come una sorta di “io trascendentale”, un sole che illumina la terra, dove in essa, allo stesso tempo, risiede l’io. È una elevazione dell’Essere ad un grado di coscienza più alto e puro. L’ombra, è altresì una sorta di “scatola”, un recipiente, ove il soggetto deposita le sue paure e le sue sensazioni primitive, è – in sintesi – il luogo irrazionale in cui l’essere umano rinchiude i pensieri repressi della propria coscienza.

       Cosa significa sostanzialmente “forza della pedagogia”? Vi è innanzitutto da dire che la stessa pedagogia “è considerata una riflessione sull’educazione e per educare si intende una riflessione sulla tensione unica e irripetibile della formazione del soggetto, la pedagogia deve essere distinta sia dalla filosofia sia dalla scienza che dalla politica e deve percorrere e accettare fini in fondo i rischi di una tale distinzione”(Spadafora, p. 135.).

Come sottolinea in seguito Spadafora: “l’educazione rimane il centro del discorso pedagogico”(p. 136). Tuttavia, come del resto l’autore stesso chiarisce successivamente, la pedagogia non è una disciplina a sé stante, nel senso che è costantemente espropriata del – e dal – suo valore autentico, venendo associata alla filosofia, alla scienza ed alla politica. Il pedagogista, dev’essere in grado di analizzare e studiare attentamente la formazione “unica ed irripetibile” della persona e sapersi distinguere coerentemente, categoricamente e diligentemente: dal filosofo dell’educazione, dallo storico dell’educazione, dal politico dell’educazione, dallo psicologo dell’educazione e dal sociologo dell’educazione; poiché il pedagogista differisce da tali settori d’indagine e, di conseguenza, non può farne parte ( Cfr. pp. 138, 139). Trovare un’indipendenza dell’educazione è sempre stato complesso, così come complesso e fragile risulta l’universo della crescita nel bambino; una crescita caratterizzata da varie fasi – o stadi – delineate tra loro, ma che devono scorrere con naturalezza senza costrizioni. La nostra analisi verterà sull’età della fanciullezza, poiché in essa sono racchiusi i paradigmi essenziali che influenzeranno tutte le future fasi della vita. In primis, è fuor di dubbio che il bambino debba vivere in una situazione familiare tendenzialmente tranquilla, senza scontri o litigi violenti tra il padre e la madre, in modo da percorrere serenamente la prima infanzia trovando il suo corretto ruolo all’interno del nucleo domestico. Se egli non gode di sostegno e serenità nei primi periodi della sua vita, tende ad auto-colpevolizzarsi delle liti tra i genitori e tende, implicitamente, a divenire insicuro di se stesso; ad avere scatti violenti nei confronti degli altri coetanei; a non avere un buon andamento scolastico; a restare, purtroppo, con una scarsa autostima. Ogni bambino è dotato di una propria personalità e di propri (variati a seconda della disciplina) tempi di apprendimento, ciò che la famiglia deve fare è incoraggiarlo – senza forzarlo, altrimenti il risultato è l’esatto contrario – a concretizzare le proprie peculiarità e potenzialità. Se egli è adeguatamente seguito diverrà al compimento del settimo (circa) anno di vita completo nella sua forma base – l’ABC della personalità umana – da espandere poi nel corso delle stagioni esistenziali successive. Nessuna età evolutiva può avvenire anticipatamente prima che la precedente sia conclusa e, non debbono – in nessun modo – subentrare costrizioni e/o obblighi che turbino la personalità del soggetto in crescita. È normale che il bambino conosca il bene e il male, il genitore (entrambi) deve insegnargli a distinguerli l’uno dall’altro ed educarlo al rispetto delle regole, della civile convivenza ed al valore della vita umana. Come precedentemente precisato, nessuna età deve giungere prima dell’altra, infanzia può essere intesa come sinonimo di innocenza; se vi è una crescita accelerata del minore, accade qualcosa di angosciante come afferma Mary Winn: "Una volta i genitori erano vivamente preoccupati di preservare l’innocenza dei figli, di fare in modo che la loro età trascorresse felice e spensierata, lontana dalle vicissitudini dell’esistenza. Oggi, invece, prevale la convinzione che i bambini debbano essere subito esposti alle esperienze del mondo adulto per essere pronti a sopravvivere in un mondo sempre più complesso e incontrollabile.”. Di certo l’odierna società non lancia messaggi incoraggianti sull’andamento della situazione in esame.
Notiamo come bambini e bambine di dieci anni o poco più si vestano da uomini o donne di trent’anni; il culto della fanciullezza è sempre più a rischio e nessuno sembra preoccuparsene più di tanto, escludendo il fattore portante che è la soppressione del diritto all’infanzia. Come si può tutelare un minore se veste e si comporta da adulto? Come si può insegnare a questi bambini il valore dei sentimenti, se non li hanno mai valorizzati prima? È qui che la pedagogia deve imporsi. Il pedagogista, essendo persona con il complesso onere di educare alla vita, deve mostrare a questi fanciulli nuove vie per l’egemonia della “corretta infantilizzazione” e non della “scorretta infanticizzazione”.
Il fanciullo è incuriosito dal mondo e grazie a tale caratteristica risulta – almeno parzialmente – recuperabile dalla sua precarietà indotta da una società meschina che tende a svilire sempre più i valori e i sentimenti per propri fini consumistici. Se il pedagogista rende forte il proprio insegnamento allora renderà nuovamente innocente e limpido l’animo del bambino da educare. Soltanto l’equilibrio tra pedagogia (e non demagogia) e amore per l’infanzia (e non nichilismo) potrà rendere il bambino – e quindi – “l’uomo in divenire”, completo nel suo Essere.

Bibliografia:
  • Costabile A., Bellacicco D., Bellagamba F., Stefani J., Fondamenti di psicologia dello sviluppo, Laterza, Roma-Bari, 2011.
  • Jung C. G., Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
  • Spadafora G., L'identità negativa della pedagogia, Unicopli, Milano, 1992.
  • Winn M., Children without Childhood, Pantheon Books, New York, (1980), trad. it., Bambini senza infanzia, Armando, Roma, 1984.


  • Autore:
    Dr. Davide Piserà
    Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
    E-mail: davidepisera@live.com