Abstract:
L'articolo si interessa di precisare l'importanza della pedagogia nella formazione del bambino, che mai come oggi vede a rischio la sua fragilità e la propria innocenza. Un articolo in difesa dell'infanzia, in difesa dell'identità dei futuri uomini del domani e che sottolinea l'obbligo degli addetti ai lavori e della famiglia di insegnare al fanciullo la distinzione tra il bene e il male del mondo.
Accade
spesso, sia in ambiente didattico che quotidiano, di osservare la personalità e
le peculiarità di chi ci circonda. Ovunque – ogni volta che la persona si apre
al mondo – scorge: nei visi e nei gesti di coloro con cui entra in contatto,
tratti tipici ed unici che ne compongono lo schema educativo e democratico
dell’essere. Ogni buon pedagogista deve saper capire l’altro e, a sua volta, farsi
capire da esso; non esiste – e non deve esistere – tra educatore ed educando un
rapporto “unidirezionale”, bensì va generato ed incentivato un modello
comunicativo “interattivo”.
Chi educa, deve saper farsi comprendere e,
d’altro canto, chi viene educato deve saper ascoltare e sviluppare con l’aiuto
del docente quelle che sono le sue qualità innate. L’etimo stesso del termine
educazione significa: “tirar fuori”, “estrapolare” ciò che si ha dentro. Le
competenze acquisite, sono un di più dei tratti che, sin dalla nascita,
distinguono l’essere umano; determinati comportamenti sono intrinseci nell’uomo.
Anche Carl Gustav Jung sosteneva questa tesi, attribuendola perlopiù ad un
fattore congenito, ovvero, la famiglia d’origine trasferisce – o meglio – impianta
nell’animus per le donne e nell’anima per gli uomini istanze predefinite
che comporranno le future competenze della persona adulta. Perché animus e
perché anima? Qual è la differenza tra i due termini? L’animus, coniato dallo
stesso Jung è: la componente essenziale presente nella crescita di un soggetto
di sesso femminile che, si identifica, in tutte le figure maschili che incontra
durante la sua formazione, attribuendone ad esse un aspetto di predominanza
nella personalità rispetto alle figure femminili; l’anima al contrario è
presente nell’uomo come raffigurazione della figura femminile – stavolta unica,
anziché molteplice come avviene nelle donne – amata e venerata, così come la
rappresenta nel suo inconscio. Le caratteristiche umane innate, che sono
presenti in ogni essere umano, formano per Jung il cosiddetto inconscio collettivo; oltre ad anima ed
animus, sono fondamentali per il grande studioso in questione altri due
elementi: il sé e l’ombra. Il sé è come una sorta di “io trascendentale”, un
sole che illumina la terra, dove in essa, allo stesso tempo, risiede l’io. È
una elevazione dell’Essere ad un grado di coscienza più alto e puro. L’ombra, è
altresì una sorta di “scatola”, un recipiente, ove il soggetto deposita le sue
paure e le sue sensazioni primitive, è – in sintesi – il luogo irrazionale in
cui l’essere umano rinchiude i pensieri repressi della propria coscienza.
Cosa
significa sostanzialmente “forza della pedagogia”? Vi è innanzitutto da dire
che la stessa pedagogia “è considerata
una riflessione sull’educazione e per educare si intende una riflessione sulla
tensione unica e irripetibile della formazione del soggetto, la pedagogia deve
essere distinta sia dalla filosofia sia dalla scienza che dalla politica e deve
percorrere e accettare fini in fondo i rischi di una tale distinzione”(Spadafora,
p. 135.).
Come sottolinea in seguito Spadafora: “l’educazione
rimane il centro del discorso pedagogico”(p. 136). Tuttavia, come del resto
l’autore stesso chiarisce successivamente, la pedagogia non è una disciplina a
sé stante, nel senso che è costantemente espropriata del – e dal – suo valore
autentico, venendo associata alla filosofia, alla scienza ed alla politica. Il
pedagogista, dev’essere in grado di analizzare e studiare attentamente la
formazione “unica ed irripetibile” della persona e sapersi distinguere
coerentemente, categoricamente e diligentemente: dal filosofo dell’educazione,
dallo storico dell’educazione, dal politico dell’educazione, dallo psicologo
dell’educazione e dal sociologo dell’educazione; poiché il pedagogista
differisce da tali settori d’indagine e, di conseguenza, non può farne parte (
Cfr. pp. 138, 139). Trovare un’indipendenza dell’educazione è sempre stato
complesso, così come complesso e fragile risulta l’universo della crescita nel
bambino; una crescita caratterizzata da varie fasi – o stadi – delineate tra
loro, ma che devono scorrere con naturalezza senza costrizioni. La nostra
analisi verterà sull’età della fanciullezza, poiché in essa sono racchiusi i
paradigmi essenziali che influenzeranno tutte le future fasi della vita. In
primis, è fuor di dubbio che il bambino debba vivere in una situazione
familiare tendenzialmente tranquilla, senza scontri o litigi violenti tra il
padre e la madre, in modo da percorrere serenamente la prima infanzia trovando
il suo corretto ruolo all’interno del nucleo domestico. Se egli non gode di
sostegno e serenità nei primi periodi della sua vita, tende ad
auto-colpevolizzarsi delle liti tra i genitori e tende, implicitamente, a divenire
insicuro di se stesso; ad avere scatti violenti nei confronti degli altri
coetanei; a non avere un buon andamento scolastico; a restare, purtroppo, con
una scarsa autostima. Ogni bambino è dotato di una propria personalità e di
propri (variati a seconda della disciplina) tempi di apprendimento, ciò che la
famiglia deve fare è incoraggiarlo – senza forzarlo, altrimenti il risultato è
l’esatto contrario – a concretizzare le proprie peculiarità e potenzialità. Se
egli è adeguatamente seguito diverrà al compimento del settimo (circa) anno di
vita completo nella sua forma base – l’ABC della personalità umana – da
espandere poi nel corso delle stagioni esistenziali successive. Nessuna età
evolutiva può avvenire anticipatamente prima che la precedente sia conclusa e,
non debbono – in nessun modo – subentrare costrizioni e/o obblighi che turbino
la personalità del soggetto in crescita. È normale che il bambino conosca il
bene e il male, il genitore (entrambi) deve insegnargli a distinguerli l’uno
dall’altro ed educarlo al rispetto delle regole, della civile convivenza ed al
valore della vita umana. Come precedentemente precisato, nessuna età deve
giungere prima dell’altra, infanzia può essere intesa come sinonimo di
innocenza; se vi è una crescita accelerata del minore, accade qualcosa di
angosciante come afferma Mary Winn: "Una volta i genitori erano vivamente
preoccupati di preservare l’innocenza dei figli, di fare in modo che la loro
età trascorresse felice e spensierata, lontana dalle vicissitudini dell’esistenza.
Oggi, invece, prevale la convinzione che i bambini debbano essere subito
esposti alle esperienze del mondo adulto per essere pronti a sopravvivere in un
mondo sempre più complesso e incontrollabile.”. Di certo l’odierna
società non lancia messaggi incoraggianti sull’andamento della situazione in
esame.
Notiamo come bambini e bambine di dieci anni o poco più si vestano da
uomini o donne di trent’anni; il culto della fanciullezza è sempre più a
rischio e nessuno sembra preoccuparsene più di tanto, escludendo il fattore
portante che è la soppressione del diritto all’infanzia. Come si può tutelare
un minore se veste e si comporta da adulto? Come si può insegnare a questi
bambini il valore dei sentimenti, se non li hanno mai valorizzati prima? È qui
che la pedagogia deve imporsi. Il pedagogista, essendo persona con il complesso
onere di educare alla vita, deve mostrare a questi fanciulli nuove vie per
l’egemonia della “corretta infantilizzazione” e non della “scorretta
infanticizzazione”.
Il fanciullo è incuriosito dal mondo e grazie a tale
caratteristica risulta – almeno parzialmente – recuperabile dalla sua
precarietà indotta da una società meschina che tende a svilire sempre più i
valori e i sentimenti per propri fini consumistici. Se il pedagogista rende
forte il proprio insegnamento allora renderà nuovamente innocente e limpido
l’animo del bambino da educare. Soltanto l’equilibrio tra pedagogia (e non
demagogia) e amore per l’infanzia (e non nichilismo) potrà rendere il bambino –
e quindi – “l’uomo in divenire”, completo nel suo Essere.
Bibliografia:
Autore:
Dr. Davide Piserà
Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
E-mail: davidepisera@live.com
Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
E-mail: davidepisera@live.com
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