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giovedì 21 luglio 2016

Sintesi sulle Scienze Pedagogiche: la nascita della psico-pedagogia educativa

Abstract:

Nella prima parte del vasto articolo sulle Scienze Pedagogiche, viene presentata e studiata dalla prospettiva epistemologico-genetica la teoria del ginevrino Jean Piaget, la Psico-pedagogia Educativa. Nella seconda parte la disciplina viene presentata e studiata dalla prospettiva della Scuola storico-culturale di Vygotskij, mentre nella terza parte viene presentata e studiata dalla prospettiva delle strategie cognitive di Jerome S. Bruner. Tale disciplina consiste nella prova concreta annunciante la preparazione psicologica di ogni educatore, allontanando i finti esperti dal sostenere tesi false sulla disciplina educativa e avvicinando alle Scienze Umane: professionisti, studenti, docenti, curiosi, genitori, fanciulli e chiunque voglia conoscere e imparare qualcosa in più da questo affascinante mondo


Jean Piaget
Le Scienze dell’educazione hanno da sempre avuto la necessità di un supporto psicologico adeguato al contesto storico-culturale di riferimento. È inutile considerare la pedagogia come materia a sé stante, poiché si tralascerebbe erroneamente la propria influenza psicologica sul soggetto da educare, analizzare ed avviare alla vita comunitaria. Da qui, sorge la Psicologia dell’educazione, una disciplina autonoma tendente a studiare l’educando – avviando al contempo opportune tecniche, strategie, e progetti pedagogici all’avanguardia – basandosi su varie linee importanti, ad esempio: la sperimentazione psicodidattica sull’apprendimento e sui singoli contenuti di studio; le relazioni tra fasi di sviluppo e ‘metodi-obiettivi’ educativi; processi motivazionali ed infine strumenti di valutazione.
La Psicologia dell’educazione possiede una sua tematica peculiare: la dinamica ‘apprendimento-insegnamento'; la quale sorge alla fine del 1800 sviluppandosi circa negli anni ’50. La Scuola Comportamentista di quegli anni, considera il comportamento come l’acquisizione di svariate abitudini e svariate associazioni, o interconnessioni, tra un primo elemento definito ‘stimolo‘ ed un conseguente secondo elemento definito ‘risposta‘. Il tutto consiste dunque in una connessione tra un segnale ambientale (stimolo), un comportamento (risposta) ed una conseguenza (rinforzo). 

Un primo e significativo studio, seppur molto schematico e per vari punti criticabile, è quello condotto da J. Piaget; egli studia l’intelligenza, attuando una netta distinzione tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto, sostenendo che la stessa intelligenza si sviluppa in base alla natura dei rapporti sorti durante l’adattamento da parte del minore all’ambiente sociale e fisico di riferimento. Lo sviluppo, per Piaget, parte dall’individualità per poi sfociare nell’ambiente; il bambino non acquisisce direttamente la propria intelligenza da fattori intergenerazionali derivanti dal mondo adulto, bensì crea da sé le proprie conoscenze.
Per lo studioso svizzero, inoltre, è estremamente importante il legame tra ‘assimilazione’ ed ‘accomodamento’.
La prima, è l’inclusione di un nuovo elemento – ad esempio un oggetto – all’interno di uno schema mentale già acquisito. Il bambino lo afferrerà nello stesso modo in cui afferra gli oggetti che già conosce, adoperando il tatto come strumento principale d’esercizio del compito.
Nel secondo, se il bambino si trova ad afferrare un oggetto mai visto in precedenza adopererà una presa con le dita diversa rispetto un altro oggetto precedentemente utilizzato; dunque, modificherà lo schema mentale già conosciuto ampliandolo alla conoscenza del nuovo elemento.
Piaget sviluppa una ‘teoria stadiale’ standardizzata per tutti gli individui. 

Gli stadi sono 4:
  1. Stadio senso-motorio (valido da 0 ai 2 anni), completo di ulteriori 6 sotto-stadi: 

  • Reazioni riflesse (primo mese); esse sono una rielaborazione da parte del bambino di schemi senso-motori innati; 
  • Reazioni circolari primarie (da 2 a 4 mesi); il bambino capta delle reazioni esterne per poi utilizzarle a sua volta come mezzo per il raggiungimento di un risultato piacevole, ad esempio la suzione del dito; 
  • Reazioni circolari secondarie (da 4 a 8 mesi); egli volge i propri interessi nei riguardi del mondo circostante, interessandosi a più oggetti anche distanti da lui, in tale sotto-stadio è fondamentale l’unione tra ‘visione’ e ‘comprensione’ della realtà esterna; 
  • Reazioni circolari differite (da 8 a 12 mesi); il bambino programma le proprie azioni ed è in grado di anticiparne gli esiti, comincia a rappresentare mentalmente gli oggetti, pur non vedendoli. Nei sotto-stadi precedenti se l’oggetto veniva sottratto dal suo sguardo egli ne perdeva il ricordo (l’oggetto non visto non esiste). Ecco dunque la ‘Intelligenza senso-motoria’; 
  • Reazioni circolari terziarie (da 12 a 18 mesi); il bambino s’interessa di sperimentare nuove situazioni, ad esempio lo sbattere un oggetto su più superfici per captare suoni differiti tra loro; 
  • Stadio della rappresentazione cognitiva (da 18 a 24 mesi); il bambino attua processi mentali senso-motori più complessi ed è in grado di rielaborare assieme maggiori informazioni rispetto quelle immediate e più elementari dei sotto-stadi precedenti; ad esempio poggia un oggetto per aprire la porta e lo riprende in seguito. Le azioni sono più complete ed efficienti, comincia a simulare la presenza degli oggetti e si sviluppa il ‘far finta di’.        
       2. Stadio pre-operatorio (dai 2 ai 6-7 anni); l’intelligenza pre-operatoria non permette al bambino di considerare molteplici prospettive in rapporto con la realtà; il suo pensiero è definito ‘irreversibile‘, ovvero: non ancora versatile e adibito alla realtà circostante. Piaget pone l’esempio della plastilina: “se una pallina di plastilina ha una determinata forma, un determinato peso ed un determinato volume, il bambino è in grado di riconoscerla; mentre – sotto il suo sguardo – se essa viene manipolata, egli sosterrà che forma, peso e volume non corrispondono a quelli precedenti”. Un altro esempio più semplice è quello dei tre contenitori: “se si versa in tre distinte bottiglie, ognuna di forma diversa, la medesima quantità di acqua ad oltranza, il bambino sosterrà che la quantità della stessa varia da recipiente a recipiente”. In questo particolare stadio, inoltre, nel fanciullo compaiono atteggiamenti particolari, quali: l’animismo, il quale dona vita a sé al contesto inanimato, e l’artificialismo, il quale innesca nel bambino l’idea che sussista un legame naturale tra l’uomo e la realtà materiale. In quest’età egli è sempre sottomesso ad un’autorità esterna che genera una concreta figura di supremazia (l’adulto), dal quale accetta regole e consigli; ciò è denominata ‘eteronimia morale‘.    
      3. Stadio delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni circa); superati i 6-7 anni il bambino abbandona il linguaggio egocentrico ed il pensiero diviene reversibile, dunque egli è in grado di modificare il proprio punto di vista riguardo una situazione dapprima ai suoi occhi standardizzata. Riprendendo l’esempio della plastilina: “Ora il bambino sino agli 11 anni considererà analoga tra una forma e l’altra soltanto la sostanza e trascorsa tale l’età anche il peso ed il volume”. Avviene inoltre un significativo passaggio dalla eteronimia alla autonomia; egli è ora in grado di prendere l’iniziativa nello svolgere vari compiti e diverse azioni che prima avvenivano sotto il controllo dell’adulto.      
      4.  Stadio delle operazioni formali (da 11 anni in itinere); il bambino riesce a interagire con soggetti ed oggetti non presenti dinanzi a lui, adopera l’immaginazione e combina assieme varie informazioni per ricavare da esse insegnamento e conoscenza della realtà circostante. Superati con successo tutti gli  stadi, si è pronti ad affrontare la vita appieno.

Piaget ha donato un contributo immenso alla pedagogia, come precedentemente detto criticabile su vari aspetti:
  • L’eccessiva standardizzazione degli stadi;
  • Il non considerare il luogo geografico dove cresce il bambino;
  • L’aver effettuato gli studi pratici espressamente sui propri figli;
  • La troppa difficoltà delle prove poste ai bambini; 
  • L’escludere le influenze dell’ambiente sociale sullo sviluppo del minore.



Lev Semënovič Vygotskij
Il russo L. S. Vygotskij, nato ad Orša nel novembre del 1896, è stato un importante psicologo e studioso dell’educazione correlata all’evoluzione della mente. Secondo le sue ricerche, il cervello del bambino, sin dalla primissima infanzia è alla continua ricerca di “strumenti” in grado di fornire all’infante dati utili sulle caratteristiche dell’ambiente circostante. Gli strumenti sono messi a disposizione dal contesto sociale di riferimento; difatti, per Vygotskij, è impossibile “standardizzare” le trasformazioni e continui cambiamenti del bambino tramite “stadi fissi” (come invece sosteneva Piaget), poiché va altresì osservato in un linguaggio globale il “luogo fisico” d’appartenenza del soggetto in questione. Ciò è importante poiché un bambino indonesiano vivrà situazioni e sviluppo differenti rispetto ad un bambino americano o ad un bambino italiano, perciò per lo studioso non è possibile includere in un’unica sfera ogni soggetto. Il linguaggio è un fondamentale strumento di crescita per l’infante; esso evolve e modifica col passare del tempo assieme al soggetto in crescita, parte dall’ambiente per successivamente sfociare nell’individualità.
Per Vygotskij, il linguaggio nel bambino attraversa tre passaggi fondamentali, ovvero dal primo al quinto (circa) anno di vita il linguaggio è socializzato, cioè utile principalmente a comunicare in maniera elementare con gli adulti; successivamente, dal sesto anno diviene egocentrico, ed in seguito interiorizzato.
A questo punto la domanda da porsi sarebbe: “quali criteri valutativi utilizza Vygotskij per analizzare le varie fasce d’età dei bambini, criticando – per l’appunto – la teoria stadiale di Piaget?” Egli sintetizza i periodi evolutivi “età stabili”, ovvero periodi in cui non si verificano grandi cambiamenti nel corso dello sviluppo; tuttavia, l’accorparsi di tali età sfocia successivamente in quattro “età critiche”, sviluppate dallo studioso con lo scopo di non generalizzare, bensì, far confluire ed accomunare nella maniera più imparziale possibile, le tappe della crescita di un minore vivente in qualsiasi parte del globo. 
Ecco le quattro “età critiche” promosse da Vygotskij:
  • passaggio dall’epoca dell’allattamento alla prima infanzia (primo anno); 
  • insubordinazione e rivolta contro l’ambiente (terzo anno); 
  • difficoltà nell’educazione (settimo anno); 
  • difficoltà derivanti dalla maturazione sessuale (tredicesimo anno). 
Tali “crisi”, se superate positivamente causano un progresso evolutivo nel bambino, il quale avanza positivamente per tutta la durata della crescita.
Vygotskij, identifica, inoltre, nell’infanzia due “punti limite”, i quali sono tesi a separare i tre tipi di apprendimento precedentemente citati (socializzato; egocentrico; interiorizzato). Il primo apprendimento è definibile spontaneo (da zero a tre anni), poiché è un’esigenza primaria esplorare la realtà circostante; da qui sorge il primo “punto limite”; il secondo apprendimento è ritenuto spontaneo-reattivo (dai tre ai 6 anni circa), poiché sì il bambino è ancora in una fase psichica elementare, ma può cominciare a compiere i primi esercizi ed i primi compiti con l’aiuto del maestro; il terzo apprendimento, in cui compare il secondo “punto limite”, è reattivo (dai 6 anni in poi); il bambino applica il suo sapere e le sue abilità nella stesura dei compiti e deve avere sempre interesse nei confronti degli esercizi da svolgere (in ciò sta l’abilità del maestro).

Le teorie di Vygotskij sono state scoperte oltre trent’anni dopo la sua morte, da Jerome Bruner, il quale si è occupato della traduzione e distribuzione in America ed in Europa del pensiero di questo grande studioso sovietico, di cui il regime aveva confinato e messo al rogo parecchi suoi lavori andati perduti o rimasti incompleti.
Contemporaneo a Piaget, ma scoperto dopo per colpa della guerra, tale studioso detta un quadro più completo del suo collega, donando maggior spessore e complessità alla Psico-pedagogia Educativa. 

Jerome S. Bruner, importantissimo psicologo statunitense, autore della Psico-pedagogia Educativa, fonda la propria teoria concentrandosi sull’aspetto cognitivo del soggetto. Ad egli va il merito di aver diffuso il pensiero di Vygotskij al di là dei confini russi, dopo circa quarant’anni dalla sua scomparsa, rimasto fino a quel tempo sconosciuto sia all’Europa che agli Stati Uniti.
Bruner confrontò con grande onestà intellettuale sia la teoria di Piaget che la teoria di Vygotskij, scoprendone punti in comune e punti non concordi l’un l’altra. Egli non parla di stadi, bensì di strategie della mente, legate inizialmente allo sviluppo genetico del bambino (strutture percettive) e successivamente al contesto ambientale di riferimento.
Per muoversi nello spazio intorno a sé, il neonato non è composto da elementari riflessi di varia tipologia, ma più approfonditamente da istruzioni che si svincolano durante il percorso evolutivo. Tuttavia, tali istruzioni non sono sufficienti per tutelare e guidare il piccolo man mano che l’ambiente circostante diviene più complesso; esse col tempo vengono rimpiazzate da più avanzati modelli d’azione.
Bruner analizza, inoltre, lo sviluppo del linguaggio, il quale dipende da specifiche interazioni affettive, sociali e culturali tra il bambino e la madre; inoltre, lo sviluppo dei processi mentali, è determinato da un legame specifico che si genera tra la mente e la cultura di riferimento: la prima realizza la seconda, e quest’ultima può influenzare notevolmente la prima.
Le strategie della mente sono collegate con varie rappresentazioni, da Bruner stesso definite come differenti capacità di custodire flessibilmente le caratteristiche ricorrenti in un ambiente. Egli concorda con Vygotskij sul fattore che ai bambini può essere spiegato qualsiasi cosa, anche discipline molto complesse (psicologia, matematica, fisica), tenendo ovviamente sotto controllo i giusti tempi di elaborazione delle informazioni.

Il bambino, nei primi anni di vita, acquisisce tre tipologie di rappresentazioni:
Jerome S. Bruner
  1. Esecutiva: azioni distinte su particolari oggetti per conoscerli ed interpretarli. Egli è ancora vincolato dalle strutture mentali innate; l’interazione con gli oggetti è lenta e scollegata in gran parte al sistema visivo; viene afferrato un oggetto alla volta e per una tempistica estremamente limitata (fino a 6 mesi).
  2. Iconica: egli interpreta ciò che lo circonda basandosi sull’esteticità degli oggetti che analizza, come la forma particolare, il colore, l’elasticità e le dimensioni. Tatto e vista si spostano quasi omogeneamente, vengono afferrati anche due oggetti simultaneamente, a patto che il primo venga posizionato sulla mano di “ripiego” per mantenere la prima libera nel prendere anche il secondo (tra 6 e 8 mesi). Giunto al nono mese (tra 9 e 11 mesi), il bambino presenta un miglioramento completo nel sistema vista-tatto e s’innesta un rapporto di gioco con l’adulto, tramite la consegna a richiesta degli oggetti; egli comincerà ad afferrarli con ambedue le mani senza parametri di movimento fissi, a testimonianza che è soggetto “attivo” e mai “passivo” nell’analizzare la realtà circostante.
  3. Simbolica (da 8 anni in poi): comprende in sé il linguaggio, e con esso la peculiare abilità di trascendere la realtà concreta e rielaborare simbolicamente un oggetto non presente al momento. Bruner, a differenza di Piaget, dimostra come il bambino è in grado di comprendere il concetto di conservazione di sostanza, peso e volume. È necessario permettere ai bambini di modificare della plastilina e fargli verbalizzare i mutamenti che essa assume; per essi, in seguito, è molto semplice venirne a capo.
Questo importantissimo autore chiude la triade dei padri fondatori della Psicologia dell’Educazione, donando importantissimi spunti futuri per la ricerca e per lo studio del bambino in itinere. Piaget, Vygotskij e Bruner, ognuno con la propria esaustiva teoria continuano ad arricchire, anche a distanza di un secolo, la pedagogia moderna. 

Bibliografia:
  • AA. VV., Fondamenti di psicologia dello sviluppo, Laterza, Roma-Bari, 2011.
  • Bruner J., Brown R. W.,, (1956) A Study of Thinking, Wiley, New York, trad. it., Il pensiero: strategie e categorie, Roma, Armando, 1969.
  • Bruner J., (1968) Processes of Cognitive Growth: Infancy, trad. it., Prime fasi dello sviluppo cognitivo, Armando, Roma, 1971.
  • Bruner J., (1966), Toward a Theory of Instruction, trad. it., Verso una teoria dell'istruzione, Roma, Armando, 1982
  • Chapman M., Constructive evolution: origins and development of Piaget's thought, Cambridge University Press, Cambridge, 1988.
  • Piaget J., (1936), La naissance de l’intelligence chez l’enfant, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel-Paris, trad. it., La nascita dell’intelligenza nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1977.
  • Pontecorvo C., a cura di, Manuale di psicologia dell'educazione, Il Mulino, Bologna, 1999.
  • Vygotskij L. S., Myšlenie i reč. Psichologičieskie issledovanija, Gosudarstvennoe Social’no Ekonomičeskoe Izdatel’stvo, Moskva-Leningrad, trad. it., Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di, L. Mecacci, Laterza, Roma-Bari, 2008. 
Autore:

Dr. Davide Piserà 
Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
E-mail: davidepisera@live.com 

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