Gli studiosi
pedagogici hanno ritenuto che il gioco investa un ruolo fondamentale per lo sviluppo sociale e cognitivo
del bambino.
John Dewey, Sigmund Freud, Maria Montessori, Rosa Agazzi, Jean Piaget
ecc., anche se in fasi diverse, hanno
affermato che il gioco sviluppa l’apprendimento e la creatività, stimola l’immaginazione,
la fantasia, la memoria, l’attenzione, la concentrazione,
favorisce lo sviluppo di schemi percettivi, capacità di confronto relazionali.
La stessa Maria Montessori affermava, infatti, l’importanza di lasciare
al bambino libero arbitrio nello spostare le cose, anche in ambiente
scolastico, per far si che fosse egli stesso a renderlo più consono alle sue
esigenze, stimolando in questo modo la sua creatività, così come accade nel
gioco in cui è il bambino stesso a modulare “i luoghi e le storie”.
John Dewey riteneva che l’inventare e l’elaborare mentalmente del
bambino ne stimolassero la crescita e lo sviluppo, nonché il suo modo di comunicare e di come il
gioco ne fosse crocevia essenziale.
In questa
mia considerazione, voglio soffermarmi brevemente sul gioco con la bambola che
è il giocattolo più antico e su quanto sia cambiata nella sua forma.
Esisteva già nel 2000 a. C. in Egitto. Il
materiale con cui si costruiva era l’avorio, il legno e la terracotta; col
tempo veniva anche prodotta in cartapesta, ed in fine di gomma, poiché
risultava più resistente nel tempo.
Quando ci si
riferisce ad una bambola, la si associa sicuramente al giocattolo che
simboleggia l’ infanzia di una bimba per
eccellenza.
Quest’ultima,
da sola o con altre coetanee, “gioca a fare la mamma”, esprimendo, in tal modo,
sentimenti sia dal punto di vista “psicologico” che “pedagogico”.
Imitando la
mamma si sente grande e sviluppa così il senso della responsabilità e
dell’empatia; si libera dalle proprie angosce ed esprime la cura del proprio aspetto
fisico, estrinsecando tutto ciò nel cambiare alla propria bambola gli abiti,
pettinandole i capelli, ecc.
Il soggetto
mette in gioco, in questo modo, la propria capacità di immaginazione e di
creatività nell’elaborare ed “inscenare” situazioni e vicende.
Oggi però le
cose sembrano cambiate.
La bambola alle bambine viene presentata dagli adulti in
altre forme; essa non è più la “bambola bambina da dover accudire”, ma sempre
più spesso giochi manipolati dai grandi e più simili ai loro “canoni” e convenzioni
sociali, di una modernità spesso fuorviante.
Nasce una
bambola “adulta” come Barbie, che mostra nelle sue fattezze di aver superato
abbondantemente i 25 anni (fine dell’età adolescenziale), truccata e pettinata
di tutto punto, che indossa bellissimi abiti griffati, vive da sola, possiede una
casa confortevole, un’auto, tante amiche, una relazione sentimentale, una vita
professionale (fa la hostess, il medico, la veterinaria, la superstar, la
modella, ecc.) e gira il mondo.
In questo
caso la bambina si proietta verso il mondo degli adulti, si prepara quindi
all’autonomia, alla vita piena di benessere e spesso riproduce su se stessa l’abbigliamento e il trucco della propria Barbie preferita.
Giocando con
Barbie sembra che le fasi della vita si siano annientate, bruciando le tappe
delle età evolutiva (dall’infanzia attraverso l’adolescenza, alla maturità).
Le bambine
non desiderano solo una Barbie, così nascono le bambole da collezione e il desiderio
di “avere” e di “competere” con le altre bambine (amiche).
È evidente
che il senso pedagogico del gioco con le bambole si annienti all’improvviso.
Nel 2012
viene proiettato sugli schermi un cartone animato intitolato “Monster High: Una
Festa Mostruosa” che ha poi avuto seguito in episodi a puntate su canali
tematici per bambini.
Questo narra
la storia di alcune adolescenti, figlie di mostri leggendari
di origine mitologica
e fiabesca: Dracula, La Mummia, Il mostro della laguna nera, il
mostro di
Frankenstein ecc., che frequentano una scuola
per mostri il cui motto è: "Ogni mostro con tutti i suoi difetti è il
benvenuto" .
Il Film, in
questo senso, ha una morale positiva, poiché regna la solidarietà e spinge
all’accettazione, quindi all’ integrazione del diverso.
Pone
inoltre, agli occhi del fruitore anche il fattore socio-antropologico del relativismo
culturale. Infatti, viene analizzata una società differente dalla nostra con le
proprie particolarità e “regole” in cui
i bambini si proiettano e di cui imparano a comprendere le dinamiche.
Le
protagoniste si impegnano a coinvolgere i mostri emarginati all’interno della
loro società.
Dal successo
avuto dalla pellicola, sono state commercializzate delle bambole che
raffigurano i personaggi con relativi accessori.
Le
protagoniste: Framkie Stein, Draculaura, Clawdeen Wolf,
Cleo de Nile, Lagoona Blue, Ghoulia Yelps e Deuce Gorgon sono i personaggi meno
spaventosi, perché sono quasi vicine al genere umano; invece, i
personaggi secondari (ovvero i mostri emarginati) sono dei veri e propri mostri:
ad esempio Peri e Pearl Serpentine hanno un unico corpo di serpente con due teste
umane, oppure Iris Clops ha solo un
occhio da ciclope.
Queste bambole oggi sono diventate
famose e si vendono dappertutto, persino nei supermercati, sembrano anche
essere costose e molto vicine, nel loro abbigliamento, alla moda del momento.
Navigando sul web, si nota come ne
vengano postate foto in cui si condivide con la comunità internauta la propria
collezione di Monster High.
A parte il fattore solidarietà di
cui prima esposto, bisogna chiedersi ora cosa le bambine assimileranno da
questi giocattoli? Forse creatività? Fantasia? Certo non possono immedesimarsi
in loro, perché non mostri, ma esseri umani.
Che tipi di sentimenti esprimono
questi soggetti giocando con queste bambole? Il coraggio o la paura? La gioia o
la tristezza? La bellezza delle cose o l'orrore? Quale, a questo punto, il
concetto di “normalità o contingenza” nel percorso di crescita e sviluppo della
persona?
La discussione potrebbe protrarsi all’infinito,
ma questo lasciamolo dire agli studiosi che dovranno evidenziare, con un acceso
dibattito, la criticità di questi giocattoli.
Quello che appare è che nel
gioco con le bambole sembra svanita la semplicità e l’innocenza del gioco
stesso, per lasciare spazio alla fantasia degli adulti, che subentra
prepotentemente nella mente delle bambine impedendo il normale percorso di sviluppo cognitivo e
comportamentale che, gradatamente, le dovrebbe condurre verso l’affermazione
della propria personalità equilibrata.
Autore:
Maria Chiara Buccieri
Studentessa di Scienze dell'Educazione (L-19)
E-mail: mariachiarab94@libero.it
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