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domenica 6 marzo 2016

L’importanza dell’educazione “ai, con e per i media” del docente e dell’educatore nella scuola postmoderna

L’importanza dell’educazione “ai, con e per i media” del docente e dell’educatore nella scuola postmoderna



Breve excursus sull'attuale società dal punto di vista dei giovani e nuove metodologie scolastiche adoperabili dal personale docente per una nuova forma d'istruzione


  • Abstract:
    Il seguente articolo si interessa in primo luogo dell'analisi pedagogica dell'universo giovanile, del modo in cui oggi i giovani si annullano nei meandri della nostra società e si smarriscono in orizzonti mediali privi di senso. Inoltre, tratta del ruolo scolastico dell'educatore e dell'insegnante e di quello che essi devono offrire all'incerta società per renderla libera nello spirito e negli ideali da seguire. Analisi che tenta anche di divincolare la complessa dinamica della folla (o massa) informe ed abbandonata a sé, in cui oggi i giovani si riconoscono per il vuoto esistenziale che li contraddistingue. Si è tentato di svolgere un lavoro attento e dal giusto linguaggio educativo, con la speranza che il lettore inizi a riflettere con maggiore criticità sulla società che lo circonda.

Nell’odierna società, caratterizzata da profonde spaccature tra gli individui, causate dall’avvento dei new media all’interno della quotidianità di ogni singolo soggetto, prende sempre più piede incontrollatamente il fenomeno della dispersione scolastica “in massa”. Perché in massa? Come mai questo termine, oggi, viene molto utilizzato e/o spesso abusato del suo significato pedagogico – e sociologico – più autentico? La risposta sta intorno a noi, o per usufruire di una frase più consona all’argomento in esame, sta all’interno del nostro “io”. Per chiarire nel miglior modo la complessa dinamica sociale ed educativa, basti notare come mondanamente non si trovi quasi più il confronto di un dialogo amichevole con l’alterità; il linguaggio verbale – da sempre nucleo portante dell’essere umano – si è drasticamente ridotto. Il dialogo, oramai, è mediato da telefoni cellulari, social network, realtà alternative (come “Second life”) ecc.; il disagio principale lo si evince nell’incapacità da parte dei ragazzi, soprattutto, di comunicare tra loro o con un adulto in situazioni face-to-face. Tale “deficit” contraddistingue il paradigma peculiare della postmodernità. L’intera società basa le sue radici su modelli culturali effimeri e perlopiù diseducativi; si consideri l’importanza delle immagini, che giocano un ruolo importantissimo nella vita dell’universo giovanile. Non vi è spazio per le parole, poiché esse risultano inattuali per il modus operandi in costante aggiornamento dei giovani. La “crisi del dialogo” deve spingere istituzioni educative a pensare nuove strategie di trasmissione dei saperi, vista la dispersione scolastica in aumento nel nostro Paese, con un tasso di rilevamento maggiore costantemente presente nel Mezzogiorno.
 È nel meridione d’Italia che purtroppo la scuola si presenta – nonostante l’indubbia competenza di molteplici intellettuali – incapace di progredire significativamente raggiungendo, dunque, gli standard nazionali. Del resto, la cultura errante italiana, in continuo declino per la mancanza di empatia nel rapporto docente-alunno, trova la sua espressione più negativa nella “ghettizzazione” dei ragazzi. Come incentivare la prospettiva di gruppo anziché quella del ghetto? In primis nel comprendere il disagio esistenziale che i giovani dell’oggi vivono sulla propria pelle; tale disagio li porta a trincerarsi in rapsodici ideali provenienti dai mass media, dalla “‘giovinilizzazione' della società", così come Morin definiva già negli anni ’60 l’esaltazione eccessiva della giovinezza nella propaganda pubblicitaria e il conseguente emarginare le altre età della vita, accantonate ed escluse, invece di essere considerate a loro volta come portavoce di ideali – e di tendenze – passati o futuri.
Questa esaltazione della giovinezza comporta nei giovani un escludere le altre età evolutive – in itinere – della vita; di conseguenza la senescenza, non viene più considerata, ma allontanata, inascoltata, rifiutata e spesso derisa. Il ghetto, è un truce malessere sociale, sfocia in episodi di razzismo, discriminazione, fondazione di “sette” e di microcriminalità organizzata; la sua presenza si nota prevalentemente in ambiente scolastico, nell’omertà da parte degli studenti nel condannare il compagno di classe per l’azione illecita, nessuno condanna nessuno. Tutti scelgono – per codardia – di tacere. Non è dunque questo un fenomeno mafioso? I neo-adolescenti postmoderni prediligono seguire la massa, poiché essa comporta un annullarsi nella sua forma fittizia e informe da parte di colui che ha scarsa fiducia in sé e negli altri. “Il dovere dello Stato – scrive Pasquale Rossi – consiste nel trasformare la folla indifferenziata in partito che è forma equilibrata di folla […]. Per ottenere ciò, c’è bisogno di una larga educazione e di una grande istruzione individuale e collettiva che, incominciata dai primi anni, si prolunghi per tutta la vita.”; Rossi, intellettuale – purtroppo poco noto – cosentino di inizio ‘900, ne “L’Animo della folla”, sua opera più importante, anticipa di quasi un secolo il concetto di massa informe abbandonata a se stessa in una dimensione di ignoranza e luoghi comuni dannosi per ogni membro della società, tentando di trovare in essa una qualsivoglia coscienza
comune. In aggiunta al pensiero di Rossi, non confutandolo, ma precisando un fattore peculiare che forse allo studioso in questione è sfuggito oppure, egli ha provveduto a sottenderlo, correndo tuttavia il rischio di fraintendimenti; sorge spontaneo un quesito. Come può Rossi affermare che deve essere lo Stato a dare un’identità alla folla, se lo Stato stesso è composto dai singoli cittadini in parte componenti della folla medesima? Lo Stato, sì, possiede dei rappresentanti, ma ognuno di noi è il portavoce di se stesso, quindi la folla – o la massa – non avrà mai un’identità a sé stante poiché i caratteri che la compongono sono una moltitudine.
 È indispensabile, invece, istruire la folla, farsi capire da essa, in modo da frammentarla lentamente, facendo sviluppare ad ogni cittadino la propria intelligenza critica. Soltanto in questo modo si può sconfiggere l’informe massa postmoderna. Qual è il ruolo dell’insegnante in tutto ciò? Per il docente e/o l’educatore, che si trova ad operare in un contesto scolastico traballante, dove l’apprendimento viene visto come un peso, la scuola come un luogo da odiare e sfregiare, gli insegnanti come incapaci di insegnare, svolgere il proprio lavoro è forse la sfida più dura da affrontare con strumenti nuovi e concreti. Quello che, in particolare a scuola, sembra regnare è l’indifferenza; indifferenza nei confronti del pensiero altrui, riguardo i problemi della collettività; tutto è “virtualizzato” attorno all’individuo che non riesce ad elevarsi a persona. Si diviene persona: nel momento in cui si ha piena consapevolezza delle proprie scelte, quando non si è più vittime della società mediale e si sceglie il proprio ruolo in essa; in caso contrario si rimane “uno tra i tanti”, senza idee, ideali e obiettivi. Il docente deve comprendere che, i media, percepiti come strumenti per avvicinare gli utenti, stanno in realtà allontanandoli sempre più nel mondo reale.
È qui che è urgente costruire una pedagogia che permetta ai giovani di combattere contro l’alienazione – e l’obnubilamento - dell’animo umano, ma per far ciò il professore postmoderno deve addentrarsi nel loro mondo: un mondo composto di frammenti da riallacciare tra loro, un mondo di incomprensioni e svilimenti, un mondo a volte cupo, composto da sentimenti repressi mai dichiarati e timori infantili non ancora abbattuti. Se la realtà giovanile è composta da immagini, sono esse che vanno adoperate per spiegare i concetti chiave, altrimenti si corre il rischio di non suscitare l’attenzione dei ragazzi, “fallendo”. L’educatore ha successo quando si fa comprendere dagli altri, soprattutto con i nuovi giovani deve saper adoperare una pedagogia che “faccia adattare sé medesimo alle condizioni degli educandi”, non viceversa o in minima parte, altrimenti il percorso educativo non trova esito. I giovani hanno bisogno di “ideali” da seguire, non più di “concetti” indotti dalla Scuola Italiana per secoli, oramai obsoleti. Il modo dell’insegnante di fare scuola, deve far fronte alla questione sociale che oggi ci troviamo a vivere; non si possono continuamente adoperare modelli educativi che causano nei ragazzi un’uniforme espressione di “rigetto”. Docente ed educatore devono avere entrambi gli strumenti per essere degli abili Media Educator, aiutando la nuova generazione a “non vivere più in un universo di immagini governate da un apparente ‘eterno presente'”, ma a “vivere la propria esistenza sfruttando le immagini come ‘rinforzo positivo’, aiutando l’insegnamento a partire dal presente per far osservare – e recepire – ai giovani che esiste anche un passato ed esisterà a sua volta un futuro se soltanto essi ne prenderanno piena consapevolezza”.

Bibliografia:

Morin E., L'industria culturale, Il Mulino, Bologna, 1963.

Rossi P ., L'Animo della folla, Tipografia "La Lotta", Cosenza, 1909.

Bossio F ., Il divenire della forma. Riflessioni pedagogiche sulla senescenza, Anicia, Roma, 2008.

Note:
Precedente pubblicazione "Periodico di studi umanistici, cultura e attualità iscritto al Registro Stampa del Tribunale di Cosenza al n. 2/09 del 30 marzo 2009 - ISSN 2279-7157 - CINECA - Servizio Gestione Riviste - Codice Rivista: E215247". Proprietario dei Diritti: Dr. Davide Piserà

Autore:
Dr. Davide Piserà
Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
E-mail: davidepisera@live.com

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