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sabato 10 settembre 2016

La forza della Pedagogia e l'innocenza della fanciullezza: due mondi a confronto che caratterizzano l'Essere


Abstract:
L'articolo si interessa di precisare l'importanza della pedagogia nella formazione del bambino, che mai come oggi vede a rischio la sua fragilità e la propria innocenza. Un articolo in difesa dell'infanzia, in difesa dell'identità dei futuri uomini del domani e che sottolinea l'obbligo degli addetti ai lavori e della famiglia di insegnare al fanciullo la distinzione tra il bene e il male del mondo.


Accade spesso, sia in ambiente didattico che quotidiano, di osservare la personalità e le peculiarità di chi ci circonda. Ovunque – ogni volta che la persona si apre al mondo – scorge: nei visi e nei gesti di coloro con cui entra in contatto, tratti tipici ed unici che ne compongono lo schema educativo e democratico dell’essere. Ogni buon pedagogista deve saper capire l’altro e, a sua volta, farsi capire da esso; non esiste – e non deve esistere – tra educatore ed educando un rapporto “unidirezionale”, bensì va generato ed incentivato un modello comunicativo “interattivo”.


       Chi educa, deve saper farsi comprendere e, d’altro canto, chi viene educato deve saper ascoltare e sviluppare con l’aiuto del docente quelle che sono le sue qualità innate. L’etimo stesso del termine educazione significa: “tirar fuori”, “estrapolare” ciò che si ha dentro. Le competenze acquisite, sono un di più dei tratti che, sin dalla nascita, distinguono l’essere umano; determinati comportamenti sono intrinseci nell’uomo. Anche Carl Gustav Jung sosteneva questa tesi, attribuendola perlopiù ad un fattore congenito, ovvero, la famiglia d’origine trasferisce – o meglio – impianta nell’animus per le donne e nell’anima per gli uomini istanze predefinite che comporranno le future competenze della persona adulta. Perché animus e perché anima? Qual è la differenza tra i due termini? L’animus, coniato dallo stesso Jung è: la componente essenziale presente nella crescita di un soggetto di sesso femminile che, si identifica, in tutte le figure maschili che incontra durante la sua formazione, attribuendone ad esse un aspetto di predominanza nella personalità rispetto alle figure femminili; l’anima al contrario è presente nell’uomo come raffigurazione della figura femminile – stavolta unica, anziché molteplice come avviene nelle donne – amata e venerata, così come la rappresenta nel suo inconscio. Le caratteristiche umane innate, che sono presenti in ogni essere umano, formano per Jung il cosiddetto inconscio collettivo; oltre ad anima ed animus, sono fondamentali per il grande studioso in questione altri due elementi: il sé e l’ombra. Il sé è come una sorta di “io trascendentale”, un sole che illumina la terra, dove in essa, allo stesso tempo, risiede l’io. È una elevazione dell’Essere ad un grado di coscienza più alto e puro. L’ombra, è altresì una sorta di “scatola”, un recipiente, ove il soggetto deposita le sue paure e le sue sensazioni primitive, è – in sintesi – il luogo irrazionale in cui l’essere umano rinchiude i pensieri repressi della propria coscienza.

       Cosa significa sostanzialmente “forza della pedagogia”? Vi è innanzitutto da dire che la stessa pedagogia “è considerata una riflessione sull’educazione e per educare si intende una riflessione sulla tensione unica e irripetibile della formazione del soggetto, la pedagogia deve essere distinta sia dalla filosofia sia dalla scienza che dalla politica e deve percorrere e accettare fini in fondo i rischi di una tale distinzione”(Spadafora, p. 135.).

Come sottolinea in seguito Spadafora: “l’educazione rimane il centro del discorso pedagogico”(p. 136). Tuttavia, come del resto l’autore stesso chiarisce successivamente, la pedagogia non è una disciplina a sé stante, nel senso che è costantemente espropriata del – e dal – suo valore autentico, venendo associata alla filosofia, alla scienza ed alla politica. Il pedagogista, dev’essere in grado di analizzare e studiare attentamente la formazione “unica ed irripetibile” della persona e sapersi distinguere coerentemente, categoricamente e diligentemente: dal filosofo dell’educazione, dallo storico dell’educazione, dal politico dell’educazione, dallo psicologo dell’educazione e dal sociologo dell’educazione; poiché il pedagogista differisce da tali settori d’indagine e, di conseguenza, non può farne parte ( Cfr. pp. 138, 139). Trovare un’indipendenza dell’educazione è sempre stato complesso, così come complesso e fragile risulta l’universo della crescita nel bambino; una crescita caratterizzata da varie fasi – o stadi – delineate tra loro, ma che devono scorrere con naturalezza senza costrizioni. La nostra analisi verterà sull’età della fanciullezza, poiché in essa sono racchiusi i paradigmi essenziali che influenzeranno tutte le future fasi della vita. In primis, è fuor di dubbio che il bambino debba vivere in una situazione familiare tendenzialmente tranquilla, senza scontri o litigi violenti tra il padre e la madre, in modo da percorrere serenamente la prima infanzia trovando il suo corretto ruolo all’interno del nucleo domestico. Se egli non gode di sostegno e serenità nei primi periodi della sua vita, tende ad auto-colpevolizzarsi delle liti tra i genitori e tende, implicitamente, a divenire insicuro di se stesso; ad avere scatti violenti nei confronti degli altri coetanei; a non avere un buon andamento scolastico; a restare, purtroppo, con una scarsa autostima. Ogni bambino è dotato di una propria personalità e di propri (variati a seconda della disciplina) tempi di apprendimento, ciò che la famiglia deve fare è incoraggiarlo – senza forzarlo, altrimenti il risultato è l’esatto contrario – a concretizzare le proprie peculiarità e potenzialità. Se egli è adeguatamente seguito diverrà al compimento del settimo (circa) anno di vita completo nella sua forma base – l’ABC della personalità umana – da espandere poi nel corso delle stagioni esistenziali successive. Nessuna età evolutiva può avvenire anticipatamente prima che la precedente sia conclusa e, non debbono – in nessun modo – subentrare costrizioni e/o obblighi che turbino la personalità del soggetto in crescita. È normale che il bambino conosca il bene e il male, il genitore (entrambi) deve insegnargli a distinguerli l’uno dall’altro ed educarlo al rispetto delle regole, della civile convivenza ed al valore della vita umana. Come precedentemente precisato, nessuna età deve giungere prima dell’altra, infanzia può essere intesa come sinonimo di innocenza; se vi è una crescita accelerata del minore, accade qualcosa di angosciante come afferma Mary Winn: "Una volta i genitori erano vivamente preoccupati di preservare l’innocenza dei figli, di fare in modo che la loro età trascorresse felice e spensierata, lontana dalle vicissitudini dell’esistenza. Oggi, invece, prevale la convinzione che i bambini debbano essere subito esposti alle esperienze del mondo adulto per essere pronti a sopravvivere in un mondo sempre più complesso e incontrollabile.”. Di certo l’odierna società non lancia messaggi incoraggianti sull’andamento della situazione in esame.
Notiamo come bambini e bambine di dieci anni o poco più si vestano da uomini o donne di trent’anni; il culto della fanciullezza è sempre più a rischio e nessuno sembra preoccuparsene più di tanto, escludendo il fattore portante che è la soppressione del diritto all’infanzia. Come si può tutelare un minore se veste e si comporta da adulto? Come si può insegnare a questi bambini il valore dei sentimenti, se non li hanno mai valorizzati prima? È qui che la pedagogia deve imporsi. Il pedagogista, essendo persona con il complesso onere di educare alla vita, deve mostrare a questi fanciulli nuove vie per l’egemonia della “corretta infantilizzazione” e non della “scorretta infanticizzazione”.
Il fanciullo è incuriosito dal mondo e grazie a tale caratteristica risulta – almeno parzialmente – recuperabile dalla sua precarietà indotta da una società meschina che tende a svilire sempre più i valori e i sentimenti per propri fini consumistici. Se il pedagogista rende forte il proprio insegnamento allora renderà nuovamente innocente e limpido l’animo del bambino da educare. Soltanto l’equilibrio tra pedagogia (e non demagogia) e amore per l’infanzia (e non nichilismo) potrà rendere il bambino – e quindi – “l’uomo in divenire”, completo nel suo Essere.

Bibliografia:
  • Costabile A., Bellacicco D., Bellagamba F., Stefani J., Fondamenti di psicologia dello sviluppo, Laterza, Roma-Bari, 2011.
  • Jung C. G., Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
  • Spadafora G., L'identità negativa della pedagogia, Unicopli, Milano, 1992.
  • Winn M., Children without Childhood, Pantheon Books, New York, (1980), trad. it., Bambini senza infanzia, Armando, Roma, 1984.


  • Autore:
    Dr. Davide Piserà
    Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
    E-mail: davidepisera@live.com

    mercoledì 3 agosto 2016

    L'Educatore dott. Francesco Tamburrino scrive all'Onorevole Blundo in merito alla Legge 2656

    Gentile Portavoce Rosetta Enza Blundo, 

    mi chiamo Francesco Tamburrino e s
    ono un Educatore, prossimo a diventare Pedagogista (sto preparando la tesi su un'esperienza di tirocinio fatta ad Artek, in Crimea nel 2008). Sto avendo modo di seguire le sue attività in Senato, tra le tante, una a me, e a molti giovani che come me, hanno deciso di affrontare questo corso di Laurea: Scienze dell'educazione e della Formazione, molto cara: l' importanza e l'esigenza di avere educatori e pedagogisti nelle scuole italiane. Inoltre sto seguendo l'evoluzione del disegno di legge 2656 proposta dalla Senatrice Vanna Iori, che nessuno di voi in commissione ha firmato, e su questo, se fosse possibile, vorrei dei chiarimenti. Vorrei, anzi voglio, dare il mio piccolo contributo affinché si arrivi ad avere personale competente e seriamente preparato per affrontare le situazioni che oggi la nostra società mette di fronte e in questo caso soprattutto nelle scuole, credo fortemente nel lavoro di queste due figure professionali e mi auguro che presto verremo "riconosciuti". In passato ho già mandato decine di e-mail ai suoi colleghi Portavoce che sono in commissione istruzione e formazione, senza avere mai alcuna risposta: La prego, non deluda le aspettative di tante/i ragazze/i, che con tanti sacrifici hanno raggiunto "questo" obiettivo: la laurea in Scienze dell'educazione e della formazione, la scuola italiana ha bisogno di queste figure professionali per supportare ed integrare il lavoro meraviglioso che svolgono i nostri insegnanti.

    Cordialità,

    Dott. Francesco Tamburrino Educatore

    Scrivi all'autore:
    e-mail: makarenkoanton1939@gmail.com

    giovedì 21 luglio 2016

    Sintesi sulle Scienze Pedagogiche: la nascita della psico-pedagogia educativa

    Abstract:

    Nella prima parte del vasto articolo sulle Scienze Pedagogiche, viene presentata e studiata dalla prospettiva epistemologico-genetica la teoria del ginevrino Jean Piaget, la Psico-pedagogia Educativa. Nella seconda parte la disciplina viene presentata e studiata dalla prospettiva della Scuola storico-culturale di Vygotskij, mentre nella terza parte viene presentata e studiata dalla prospettiva delle strategie cognitive di Jerome S. Bruner. Tale disciplina consiste nella prova concreta annunciante la preparazione psicologica di ogni educatore, allontanando i finti esperti dal sostenere tesi false sulla disciplina educativa e avvicinando alle Scienze Umane: professionisti, studenti, docenti, curiosi, genitori, fanciulli e chiunque voglia conoscere e imparare qualcosa in più da questo affascinante mondo


    Jean Piaget
    Le Scienze dell’educazione hanno da sempre avuto la necessità di un supporto psicologico adeguato al contesto storico-culturale di riferimento. È inutile considerare la pedagogia come materia a sé stante, poiché si tralascerebbe erroneamente la propria influenza psicologica sul soggetto da educare, analizzare ed avviare alla vita comunitaria. Da qui, sorge la Psicologia dell’educazione, una disciplina autonoma tendente a studiare l’educando – avviando al contempo opportune tecniche, strategie, e progetti pedagogici all’avanguardia – basandosi su varie linee importanti, ad esempio: la sperimentazione psicodidattica sull’apprendimento e sui singoli contenuti di studio; le relazioni tra fasi di sviluppo e ‘metodi-obiettivi’ educativi; processi motivazionali ed infine strumenti di valutazione.
    La Psicologia dell’educazione possiede una sua tematica peculiare: la dinamica ‘apprendimento-insegnamento'; la quale sorge alla fine del 1800 sviluppandosi circa negli anni ’50. La Scuola Comportamentista di quegli anni, considera il comportamento come l’acquisizione di svariate abitudini e svariate associazioni, o interconnessioni, tra un primo elemento definito ‘stimolo‘ ed un conseguente secondo elemento definito ‘risposta‘. Il tutto consiste dunque in una connessione tra un segnale ambientale (stimolo), un comportamento (risposta) ed una conseguenza (rinforzo). 

    Un primo e significativo studio, seppur molto schematico e per vari punti criticabile, è quello condotto da J. Piaget; egli studia l’intelligenza, attuando una netta distinzione tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto, sostenendo che la stessa intelligenza si sviluppa in base alla natura dei rapporti sorti durante l’adattamento da parte del minore all’ambiente sociale e fisico di riferimento. Lo sviluppo, per Piaget, parte dall’individualità per poi sfociare nell’ambiente; il bambino non acquisisce direttamente la propria intelligenza da fattori intergenerazionali derivanti dal mondo adulto, bensì crea da sé le proprie conoscenze.
    Per lo studioso svizzero, inoltre, è estremamente importante il legame tra ‘assimilazione’ ed ‘accomodamento’.
    La prima, è l’inclusione di un nuovo elemento – ad esempio un oggetto – all’interno di uno schema mentale già acquisito. Il bambino lo afferrerà nello stesso modo in cui afferra gli oggetti che già conosce, adoperando il tatto come strumento principale d’esercizio del compito.
    Nel secondo, se il bambino si trova ad afferrare un oggetto mai visto in precedenza adopererà una presa con le dita diversa rispetto un altro oggetto precedentemente utilizzato; dunque, modificherà lo schema mentale già conosciuto ampliandolo alla conoscenza del nuovo elemento.
    Piaget sviluppa una ‘teoria stadiale’ standardizzata per tutti gli individui. 

    Gli stadi sono 4:
    1. Stadio senso-motorio (valido da 0 ai 2 anni), completo di ulteriori 6 sotto-stadi: 

    • Reazioni riflesse (primo mese); esse sono una rielaborazione da parte del bambino di schemi senso-motori innati; 
    • Reazioni circolari primarie (da 2 a 4 mesi); il bambino capta delle reazioni esterne per poi utilizzarle a sua volta come mezzo per il raggiungimento di un risultato piacevole, ad esempio la suzione del dito; 
    • Reazioni circolari secondarie (da 4 a 8 mesi); egli volge i propri interessi nei riguardi del mondo circostante, interessandosi a più oggetti anche distanti da lui, in tale sotto-stadio è fondamentale l’unione tra ‘visione’ e ‘comprensione’ della realtà esterna; 
    • Reazioni circolari differite (da 8 a 12 mesi); il bambino programma le proprie azioni ed è in grado di anticiparne gli esiti, comincia a rappresentare mentalmente gli oggetti, pur non vedendoli. Nei sotto-stadi precedenti se l’oggetto veniva sottratto dal suo sguardo egli ne perdeva il ricordo (l’oggetto non visto non esiste). Ecco dunque la ‘Intelligenza senso-motoria’; 
    • Reazioni circolari terziarie (da 12 a 18 mesi); il bambino s’interessa di sperimentare nuove situazioni, ad esempio lo sbattere un oggetto su più superfici per captare suoni differiti tra loro; 
    • Stadio della rappresentazione cognitiva (da 18 a 24 mesi); il bambino attua processi mentali senso-motori più complessi ed è in grado di rielaborare assieme maggiori informazioni rispetto quelle immediate e più elementari dei sotto-stadi precedenti; ad esempio poggia un oggetto per aprire la porta e lo riprende in seguito. Le azioni sono più complete ed efficienti, comincia a simulare la presenza degli oggetti e si sviluppa il ‘far finta di’.        
           2. Stadio pre-operatorio (dai 2 ai 6-7 anni); l’intelligenza pre-operatoria non permette al bambino di considerare molteplici prospettive in rapporto con la realtà; il suo pensiero è definito ‘irreversibile‘, ovvero: non ancora versatile e adibito alla realtà circostante. Piaget pone l’esempio della plastilina: “se una pallina di plastilina ha una determinata forma, un determinato peso ed un determinato volume, il bambino è in grado di riconoscerla; mentre – sotto il suo sguardo – se essa viene manipolata, egli sosterrà che forma, peso e volume non corrispondono a quelli precedenti”. Un altro esempio più semplice è quello dei tre contenitori: “se si versa in tre distinte bottiglie, ognuna di forma diversa, la medesima quantità di acqua ad oltranza, il bambino sosterrà che la quantità della stessa varia da recipiente a recipiente”. In questo particolare stadio, inoltre, nel fanciullo compaiono atteggiamenti particolari, quali: l’animismo, il quale dona vita a sé al contesto inanimato, e l’artificialismo, il quale innesca nel bambino l’idea che sussista un legame naturale tra l’uomo e la realtà materiale. In quest’età egli è sempre sottomesso ad un’autorità esterna che genera una concreta figura di supremazia (l’adulto), dal quale accetta regole e consigli; ciò è denominata ‘eteronimia morale‘.    
          3. Stadio delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni circa); superati i 6-7 anni il bambino abbandona il linguaggio egocentrico ed il pensiero diviene reversibile, dunque egli è in grado di modificare il proprio punto di vista riguardo una situazione dapprima ai suoi occhi standardizzata. Riprendendo l’esempio della plastilina: “Ora il bambino sino agli 11 anni considererà analoga tra una forma e l’altra soltanto la sostanza e trascorsa tale l’età anche il peso ed il volume”. Avviene inoltre un significativo passaggio dalla eteronimia alla autonomia; egli è ora in grado di prendere l’iniziativa nello svolgere vari compiti e diverse azioni che prima avvenivano sotto il controllo dell’adulto.      
          4.  Stadio delle operazioni formali (da 11 anni in itinere); il bambino riesce a interagire con soggetti ed oggetti non presenti dinanzi a lui, adopera l’immaginazione e combina assieme varie informazioni per ricavare da esse insegnamento e conoscenza della realtà circostante. Superati con successo tutti gli  stadi, si è pronti ad affrontare la vita appieno.

    Piaget ha donato un contributo immenso alla pedagogia, come precedentemente detto criticabile su vari aspetti:
    • L’eccessiva standardizzazione degli stadi;
    • Il non considerare il luogo geografico dove cresce il bambino;
    • L’aver effettuato gli studi pratici espressamente sui propri figli;
    • La troppa difficoltà delle prove poste ai bambini; 
    • L’escludere le influenze dell’ambiente sociale sullo sviluppo del minore.



    Lev Semënovič Vygotskij
    Il russo L. S. Vygotskij, nato ad Orša nel novembre del 1896, è stato un importante psicologo e studioso dell’educazione correlata all’evoluzione della mente. Secondo le sue ricerche, il cervello del bambino, sin dalla primissima infanzia è alla continua ricerca di “strumenti” in grado di fornire all’infante dati utili sulle caratteristiche dell’ambiente circostante. Gli strumenti sono messi a disposizione dal contesto sociale di riferimento; difatti, per Vygotskij, è impossibile “standardizzare” le trasformazioni e continui cambiamenti del bambino tramite “stadi fissi” (come invece sosteneva Piaget), poiché va altresì osservato in un linguaggio globale il “luogo fisico” d’appartenenza del soggetto in questione. Ciò è importante poiché un bambino indonesiano vivrà situazioni e sviluppo differenti rispetto ad un bambino americano o ad un bambino italiano, perciò per lo studioso non è possibile includere in un’unica sfera ogni soggetto. Il linguaggio è un fondamentale strumento di crescita per l’infante; esso evolve e modifica col passare del tempo assieme al soggetto in crescita, parte dall’ambiente per successivamente sfociare nell’individualità.
    Per Vygotskij, il linguaggio nel bambino attraversa tre passaggi fondamentali, ovvero dal primo al quinto (circa) anno di vita il linguaggio è socializzato, cioè utile principalmente a comunicare in maniera elementare con gli adulti; successivamente, dal sesto anno diviene egocentrico, ed in seguito interiorizzato.
    A questo punto la domanda da porsi sarebbe: “quali criteri valutativi utilizza Vygotskij per analizzare le varie fasce d’età dei bambini, criticando – per l’appunto – la teoria stadiale di Piaget?” Egli sintetizza i periodi evolutivi “età stabili”, ovvero periodi in cui non si verificano grandi cambiamenti nel corso dello sviluppo; tuttavia, l’accorparsi di tali età sfocia successivamente in quattro “età critiche”, sviluppate dallo studioso con lo scopo di non generalizzare, bensì, far confluire ed accomunare nella maniera più imparziale possibile, le tappe della crescita di un minore vivente in qualsiasi parte del globo. 
    Ecco le quattro “età critiche” promosse da Vygotskij:
    • passaggio dall’epoca dell’allattamento alla prima infanzia (primo anno); 
    • insubordinazione e rivolta contro l’ambiente (terzo anno); 
    • difficoltà nell’educazione (settimo anno); 
    • difficoltà derivanti dalla maturazione sessuale (tredicesimo anno). 
    Tali “crisi”, se superate positivamente causano un progresso evolutivo nel bambino, il quale avanza positivamente per tutta la durata della crescita.
    Vygotskij, identifica, inoltre, nell’infanzia due “punti limite”, i quali sono tesi a separare i tre tipi di apprendimento precedentemente citati (socializzato; egocentrico; interiorizzato). Il primo apprendimento è definibile spontaneo (da zero a tre anni), poiché è un’esigenza primaria esplorare la realtà circostante; da qui sorge il primo “punto limite”; il secondo apprendimento è ritenuto spontaneo-reattivo (dai tre ai 6 anni circa), poiché sì il bambino è ancora in una fase psichica elementare, ma può cominciare a compiere i primi esercizi ed i primi compiti con l’aiuto del maestro; il terzo apprendimento, in cui compare il secondo “punto limite”, è reattivo (dai 6 anni in poi); il bambino applica il suo sapere e le sue abilità nella stesura dei compiti e deve avere sempre interesse nei confronti degli esercizi da svolgere (in ciò sta l’abilità del maestro).

    Le teorie di Vygotskij sono state scoperte oltre trent’anni dopo la sua morte, da Jerome Bruner, il quale si è occupato della traduzione e distribuzione in America ed in Europa del pensiero di questo grande studioso sovietico, di cui il regime aveva confinato e messo al rogo parecchi suoi lavori andati perduti o rimasti incompleti.
    Contemporaneo a Piaget, ma scoperto dopo per colpa della guerra, tale studioso detta un quadro più completo del suo collega, donando maggior spessore e complessità alla Psico-pedagogia Educativa. 

    Jerome S. Bruner, importantissimo psicologo statunitense, autore della Psico-pedagogia Educativa, fonda la propria teoria concentrandosi sull’aspetto cognitivo del soggetto. Ad egli va il merito di aver diffuso il pensiero di Vygotskij al di là dei confini russi, dopo circa quarant’anni dalla sua scomparsa, rimasto fino a quel tempo sconosciuto sia all’Europa che agli Stati Uniti.
    Bruner confrontò con grande onestà intellettuale sia la teoria di Piaget che la teoria di Vygotskij, scoprendone punti in comune e punti non concordi l’un l’altra. Egli non parla di stadi, bensì di strategie della mente, legate inizialmente allo sviluppo genetico del bambino (strutture percettive) e successivamente al contesto ambientale di riferimento.
    Per muoversi nello spazio intorno a sé, il neonato non è composto da elementari riflessi di varia tipologia, ma più approfonditamente da istruzioni che si svincolano durante il percorso evolutivo. Tuttavia, tali istruzioni non sono sufficienti per tutelare e guidare il piccolo man mano che l’ambiente circostante diviene più complesso; esse col tempo vengono rimpiazzate da più avanzati modelli d’azione.
    Bruner analizza, inoltre, lo sviluppo del linguaggio, il quale dipende da specifiche interazioni affettive, sociali e culturali tra il bambino e la madre; inoltre, lo sviluppo dei processi mentali, è determinato da un legame specifico che si genera tra la mente e la cultura di riferimento: la prima realizza la seconda, e quest’ultima può influenzare notevolmente la prima.
    Le strategie della mente sono collegate con varie rappresentazioni, da Bruner stesso definite come differenti capacità di custodire flessibilmente le caratteristiche ricorrenti in un ambiente. Egli concorda con Vygotskij sul fattore che ai bambini può essere spiegato qualsiasi cosa, anche discipline molto complesse (psicologia, matematica, fisica), tenendo ovviamente sotto controllo i giusti tempi di elaborazione delle informazioni.

    Il bambino, nei primi anni di vita, acquisisce tre tipologie di rappresentazioni:
    Jerome S. Bruner
    1. Esecutiva: azioni distinte su particolari oggetti per conoscerli ed interpretarli. Egli è ancora vincolato dalle strutture mentali innate; l’interazione con gli oggetti è lenta e scollegata in gran parte al sistema visivo; viene afferrato un oggetto alla volta e per una tempistica estremamente limitata (fino a 6 mesi).
    2. Iconica: egli interpreta ciò che lo circonda basandosi sull’esteticità degli oggetti che analizza, come la forma particolare, il colore, l’elasticità e le dimensioni. Tatto e vista si spostano quasi omogeneamente, vengono afferrati anche due oggetti simultaneamente, a patto che il primo venga posizionato sulla mano di “ripiego” per mantenere la prima libera nel prendere anche il secondo (tra 6 e 8 mesi). Giunto al nono mese (tra 9 e 11 mesi), il bambino presenta un miglioramento completo nel sistema vista-tatto e s’innesta un rapporto di gioco con l’adulto, tramite la consegna a richiesta degli oggetti; egli comincerà ad afferrarli con ambedue le mani senza parametri di movimento fissi, a testimonianza che è soggetto “attivo” e mai “passivo” nell’analizzare la realtà circostante.
    3. Simbolica (da 8 anni in poi): comprende in sé il linguaggio, e con esso la peculiare abilità di trascendere la realtà concreta e rielaborare simbolicamente un oggetto non presente al momento. Bruner, a differenza di Piaget, dimostra come il bambino è in grado di comprendere il concetto di conservazione di sostanza, peso e volume. È necessario permettere ai bambini di modificare della plastilina e fargli verbalizzare i mutamenti che essa assume; per essi, in seguito, è molto semplice venirne a capo.
    Questo importantissimo autore chiude la triade dei padri fondatori della Psicologia dell’Educazione, donando importantissimi spunti futuri per la ricerca e per lo studio del bambino in itinere. Piaget, Vygotskij e Bruner, ognuno con la propria esaustiva teoria continuano ad arricchire, anche a distanza di un secolo, la pedagogia moderna. 

    Bibliografia:
    • AA. VV., Fondamenti di psicologia dello sviluppo, Laterza, Roma-Bari, 2011.
    • Bruner J., Brown R. W.,, (1956) A Study of Thinking, Wiley, New York, trad. it., Il pensiero: strategie e categorie, Roma, Armando, 1969.
    • Bruner J., (1968) Processes of Cognitive Growth: Infancy, trad. it., Prime fasi dello sviluppo cognitivo, Armando, Roma, 1971.
    • Bruner J., (1966), Toward a Theory of Instruction, trad. it., Verso una teoria dell'istruzione, Roma, Armando, 1982
    • Chapman M., Constructive evolution: origins and development of Piaget's thought, Cambridge University Press, Cambridge, 1988.
    • Piaget J., (1936), La naissance de l’intelligence chez l’enfant, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel-Paris, trad. it., La nascita dell’intelligenza nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1977.
    • Pontecorvo C., a cura di, Manuale di psicologia dell'educazione, Il Mulino, Bologna, 1999.
    • Vygotskij L. S., Myšlenie i reč. Psichologičieskie issledovanija, Gosudarstvennoe Social’no Ekonomičeskoe Izdatel’stvo, Moskva-Leningrad, trad. it., Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di, L. Mecacci, Laterza, Roma-Bari, 2008. 
    Autore:

    Dr. Davide Piserà 
    Pedagogista - CTP Giuridico - Media Educator
    E-mail: davidepisera@live.com 

    mercoledì 1 giugno 2016

    Quando e come si diventa grandi?


    L’adolescenza termina a 25 anni, ma cos’è che ci fa sentire davvero grandi e quando siamo pronti  davvero  a crescere. Quello dell’adolescenza, sembra essere un cammino individuale in quanto non v’è un età biologica prestabilita. Se mettiamo da parte il cambiamento corporeo, e lo sviluppo che comporta anche una trasformazione nella percezione delle cose ,  il resto è relativo e soggettivo, se pensiamo anche al fatto che i  ricercatori ci parlano di cambiamenti legati al cervello anche dopo i 30 anni di età. Sarebbe riduttivo associare tutte le nostre evoluzioni , ad una precisa fascia di età , la maturità è data anche e soprattutto da un atteggiamento.
    L’approccio è alla base di  tutto, ed è qui che si denota la differenza, cosi in Italia, un paese dove si fa fatica ad  incontrare l autonomia, ancora di più possiamo parlare di una  “vasta  adolescenza”.  Basandoci sempre sul fatto  che l’esperienza individuale, ci porta a circostanze di vita diverse, oggi è molto  facile ritrovarsi con ventenni maturi e  ventottenni  n con una marcata   adolescenza.  Di certo è che nella maturità intellettuale, gioca un ruolo fondamentale la predisposizione e il contesto genitoriale, ma non possiamo neppure  negare che la realizzazione personale ,cambia  la nostra forma mentis, che automaticamente ci porta ad abbandonare vecchie abitudini. Ogni individuo vive la propria esperienza e  diversi sono i fattori che influenzano determinati comportamenti ,  come la cultura, il posto in cui viviamo, l ‘ambiente che ci circonda e le persone con cui ci confrontiamo.  Non dimentichiamo che la nostra mente è come una spugna, assorbiamo, elaboriamo e poi mettiamo in atto ciò che migliora le nostri condizioni di vita. Lo stimolo esterno è senza alcun dubbio uno degli aspetti più influenti della nostra crescita e  di certo le mancate possibilità che spesso limitano i nostri progetti, o più semplicemente vengono messi da parte, porta  ad un prolungamento dello stato adolescenziale, che spesso può risultare ingombrante e difficile da accettare .  Possiamo affermare che l’adolescenza è anche una scelta, la maturità è ciò che di più personale possa esserci , non esiste un tempo preciso, un età perfetta, in mondo dove si deve fare i conti necessariamente con una precarietà  di fondo  che ha  generato  una netta differenza tra quello che  ieri e quello che è  oggi.  Quel che conta oggi non è tanto l’età in cui avviene il salto, ma la capacità di trovarsi pronto, ecco perché dobbiamo imparare ad essere autonomi dal principio, un adolescente è colui che si prepara a diventare adulto, e lotta per il suo futuro, e può essere adulto, anche quando ancora non ha lasciato il tuo nido.
    Autore:
    Dr.ssa Mariasimona Gabriele - Educatore Sociale
    E-mail: simomaria@hotmail.it

    martedì 26 aprile 2016

    La Bambola del futuro?


    Gli studiosi pedagogici hanno ritenuto che il gioco investa un ruolo  fondamentale per lo sviluppo sociale e cognitivo del bambino.
    John Dewey, Sigmund Freud, Maria Montessori, Rosa Agazzi, Jean Piaget ecc., anche se in fasi diverse, hanno affermato che il gioco sviluppa l’apprendimento e la creatività, stimola l’immaginazione, la fantasia, la memoria, l’attenzione, la concentrazione, favorisce lo sviluppo di schemi percettivi, capacità di confronto relazionali.
    La stessa Maria Montessori affermava, infatti, l’importanza di lasciare al bambino libero arbitrio nello spostare le cose, anche in ambiente scolastico, per far si che fosse egli stesso a renderlo più consono alle sue esigenze, stimolando in questo modo la sua creatività, così come accade nel gioco in cui è il bambino stesso a modulare “i luoghi e le storie”.
    John Dewey riteneva che l’inventare e l’elaborare mentalmente del bambino ne stimolassero la crescita e lo sviluppo,  nonché il suo modo di comunicare e di come il gioco ne fosse crocevia essenziale.
    In questa mia considerazione, voglio soffermarmi brevemente sul gioco con la bambola che è il giocattolo più antico e su quanto sia cambiata nella sua forma.
     Esisteva già nel 2000 a. C. in Egitto. Il materiale con cui si costruiva era l’avorio, il legno e la terracotta; col tempo veniva anche prodotta in cartapesta, ed in fine di gomma, poiché risultava più resistente nel tempo.
    Quando ci si riferisce ad una bambola, la si associa sicuramente al giocattolo che simboleggia l’ infanzia di  una bimba per eccellenza.
    Quest’ultima, da sola o con altre coetanee, “gioca a fare la mamma”, esprimendo, in tal modo, sentimenti sia dal punto di vista “psicologico” che “pedagogico”.
    Imitando la mamma si sente grande e sviluppa così il senso della responsabilità e dell’empatia; si libera dalle proprie angosce ed esprime la cura del proprio aspetto fisico, estrinsecando tutto ciò nel cambiare alla propria bambola gli abiti, pettinandole i capelli, ecc.
    Il soggetto mette in gioco, in questo modo, la propria capacità di immaginazione e di creatività nell’elaborare ed “inscenare” situazioni e vicende.
    Oggi però le cose sembrano cambiate.
    La bambola alle bambine viene presentata dagli adulti in altre forme; essa non è più la “bambola bambina da dover accudire”, ma sempre più spesso giochi manipolati dai grandi e più simili ai loro “canoni” e convenzioni sociali, di una modernità spesso fuorviante.
    Nasce una bambola “adulta” come Barbie, che mostra nelle sue fattezze di aver superato abbondantemente i 25 anni (fine dell’età adolescenziale), truccata e pettinata di tutto punto, che indossa bellissimi abiti griffati, vive da sola, possiede una casa confortevole, un’auto, tante amiche, una relazione sentimentale, una vita professionale (fa la hostess, il medico, la veterinaria, la superstar, la modella, ecc.) e gira il mondo.
    In questo caso la bambina si proietta verso il mondo degli adulti, si prepara quindi all’autonomia, alla vita piena di benessere e spesso riproduce su se stessa  l’abbigliamento  e il trucco  della propria Barbie preferita.
    Giocando con Barbie sembra che le fasi della vita si siano annientate, bruciando le tappe delle età evolutiva (dall’infanzia attraverso l’adolescenza, alla maturità).
    Le bambine non desiderano solo una Barbie, così nascono le bambole da collezione e il desiderio di “avere” e di “competere” con le altre bambine (amiche).
    È evidente che il senso pedagogico del gioco con le bambole si annienti all’improvviso.
    Nel 2012 viene proiettato sugli schermi un cartone animato intitolato “Monster High: Una Festa Mostruosa” che ha poi avuto seguito in episodi a puntate su canali tematici per bambini.
    Questo narra la storia di alcune adolescenti, figlie di mostri leggendari
    di origine mitologica e fiabesca: Dracula, La Mummia, Il mostro della laguna nera, il 

    mostro di Frankenstein ecc., che frequentano una scuola per mostri il cui motto è: "Ogni mostro con tutti i suoi difetti è il benvenuto" .
    Il Film, in questo senso, ha una morale positiva, poiché regna la solidarietà e spinge all’accettazione, quindi all’ integrazione del diverso.
    Pone inoltre, agli occhi del fruitore anche il fattore socio-antropologico del relativismo culturale. Infatti, viene analizzata una società differente dalla nostra con le proprie particolarità e “regole”  in cui i bambini si proiettano e di cui imparano a comprendere le dinamiche.
    Le protagoniste si impegnano a coinvolgere i mostri emarginati all’interno della loro società.
    Dal successo avuto dalla pellicola, sono state commercializzate delle bambole che raffigurano i personaggi con relativi accessori.
    Le protagoniste: Framkie Stein, Draculaura, Clawdeen Wolf, Cleo de Nile, Lagoona Blue, Ghoulia Yelps e Deuce Gorgon sono i personaggi meno spaventosi, perché sono quasi vicine al genere umano;  invece, i personaggi secondari (ovvero i mostri emarginati) sono dei veri e propri mostri: ad esempio Peri e Pearl Serpentine hanno un unico corpo di serpente con due teste umane, oppure Iris Clops  ha solo un occhio da ciclope.
    Queste bambole oggi sono diventate famose e si vendono dappertutto, persino nei supermercati, sembrano anche essere costose e molto vicine, nel loro abbigliamento, alla moda del momento.
    Navigando sul web, si nota come ne vengano postate foto in cui si condivide con la comunità internauta la propria collezione di Monster High.
    A parte il fattore solidarietà di cui prima esposto, bisogna chiedersi ora cosa le bambine assimileranno da questi giocattoli? Forse creatività? Fantasia? Certo non possono immedesimarsi in loro, perché non mostri, ma esseri umani.
    Che tipi di sentimenti esprimono questi soggetti giocando con queste bambole? Il coraggio o la paura? La gioia o la tristezza? La bellezza delle cose o l'orrore? Quale, a questo punto, il concetto di “normalità o contingenza” nel percorso di crescita e sviluppo della persona?
    La discussione potrebbe protrarsi all’infinito, ma questo lasciamolo dire agli studiosi che dovranno evidenziare, con un acceso dibattito, la criticità di questi giocattoli.
    Quello che appare è che nel gioco con le bambole sembra svanita la semplicità e l’innocenza del gioco stesso, per lasciare spazio alla fantasia degli adulti, che subentra prepotentemente nella mente delle bambine impedendo  il normale percorso di sviluppo cognitivo e comportamentale che, gradatamente, le dovrebbe condurre verso l’affermazione della propria personalità equilibrata.

    Autore:
    Maria Chiara Buccieri
    Studentessa di Scienze dell'Educazione (L-19)
    E-mail: mariachiarab94@libero.it

    sabato 16 aprile 2016

    Pedagogisti ed Educatori contro i pedofili: l'importanza di formarsi contro i pericoli della rete

    Sviluppare nel 2016 un corso sui rischi della rete e sulla violenza latente insita in determinati soggetti problematici e deviati sia psicologicamente che socialmente, appare più che necessario. Necessario per via della mancanza di conoscenza della rete e dei social network da parte delle famiglie, le quali per alleggerire gli oneri genitoriali acquistano ai propri figli smartphone di ultima generazione, tablet e computer sempre più potenti; i quali permeano le esistenze delle nuove generazioni nate dal 2008 in poi (nativi digitali) e li indirizzano verso esistenze parallele (si pensi a Second Life, agli Oculus o ai GDR) sempre più complesse e dettagliate, dentro cui i giovani fondano comunità segrete, gruppi e chat collettive in cui esprimere il loro “senso di esistere”, senza sapere di farlo in mondi immaginari, intangibili, rapsodici ed effimeri, dove tutto è consumo e tutto avviene in tempo reale. 

    Istruire i professionisti dai pericoli della rete, significa tutelare le nuove generazioni quanto più possibile; rendendole sane e lontane da devianze e condotte violente, nel rispetto delle norme sociali e giuridiche del tessuto sociale in cui vivono. I professionisti, dal canto loro, non sempre manifestano una conoscenza approfondita nei confronti degli strumenti della rete, e delle loro diramazioni socio-relazionali e socio-psicopedagogiche che abbisognerebbero gli intenti degli utenti molestanti. Nel nostro periodo storico istituire un corso del genere significa imparare a tutelare gli utenti nel modo più completo possibile, acquisendo le giuste competenze teorico-pratiche. 

    Il corso sarà strutturato in tal modo:

    Due giornate full immersion, di cui la prima:
    1) Profilo socio-psicopedagogico del pedofilo;
    - Fisiognomica e comportamenti patologici;
    - Tipologie di pedofili;
    - Pedofilia al femminile;
    - Sindrome di Munchausen, madri malevole e abuso al femminile;
    2) La seconda:
    - Sistema di geo-localizzazione sui sistemi mobile Android, Ios e Windows Phone;
    - Strumenti di individuazione e monitoraggio sul web;
    - "The hidden wiki" e internet oscuro;
    - Internet e video-chat casuali: rischi e strategie preventive;
    - Strategie di adescamento in rete e tutela del minore a rischio;
    - Il ruolo della famiglia e dei professionisti 2.0;
    - Il corretto utilizzo dei social network;
    - Strategie pedagogiche a tutela dei minori abusati e tecniche di prevenzione generali;
    - Come scrivere una relazione “pedagogico-valutativa”;
    - Verifica finale.
    Specifiche:

    Durata: 
    - 10 ore suddivise in 2 giornate full immersion. 

    Fruitori del corso: 
    - medici, operatori sanitari, educatori, pedagogisti, insegnanti, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, avvocati, forze dell'ordine.

    Il costo è fissato ad 80 euro, comprensivo di attestato e materiale didattico.


    Autori:
    Dr. Davide Piserà
    Pedagogista - Consulente CTP - Media Educator
    Dr.ssa Rosalba Monaco
    Pedagogista - Consulente familiare

    E-mail: davidepisera@live.com / athenaeum2000@gmail.com

    sabato 2 aprile 2016

    Ecco perché la Legge 2656 Iori "non risolve" i problemi degli educatori e dei pedagogisti

    Più che una Legge, la si dovrebbe definire un assist totale alle professioni sanitarie. Il motivo sta nel fatto che il mondo sanitario vedrà "chiuse" le sue porte per i laureati L-19; ovvero con la dicitura "Educatore professionale socio-pedagogico" (sprovvisto dell'aspetto "psico-pedagogico") che conferisce scientificità al profilo, tutti gli educatori L-19 non potranno più lavorare nelle ASL, nelle case di cura, nei centri di sanità mentale e nei centri dediti all'autismo; i quali saranno di "esclusiva" competenza degli educatori Snt/02. Dunque che Legge è? E' semplicemente una "norma" che continua a rendere precaria la situazione degli L-19, che circuisce i professionisti all'interno delle Case-famiglia, dei gruppi appartamento, delle cooperative, dove in Sicilia si viene pagati 3 euro all'ora, ed in taluni casi al "giorno". E' una norma ghettizzante che rende il pedagogista un "ibrido" escluso dai campi in cui attualmente lavora, e l'educatore L-19 un professionista escluso dall'ambito sanitario, in cui ad oggi può lavorare, e recluso nei settori "meno pagati" della categoria a vantaggio esclusivo di medicina.

    RIFLETTETE.



    Autore:
    Dr. Davide Piserà
    Pedagogista - Consulente CTP - Media Educator

    sabato 26 marzo 2016

    L’importanza dell’ auto-accettazione, in una società di massa fondata sull’idealizzazione


    L’autostima, è uno aspetto della nostra esistenza che ci permette di trovare un giusto equilibrio tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Dietro l’autostima ci siamo noi, c’è la nostra persona, c’è l’idea che diamo agli altri di noi stessi.   A volte però viene a mancare questo credere in noi, cosi quello specchio diventa il tuo nemico, e il tuo pensiero rimane prigioniero dentro di te,  per paura di non dire la cosa giusta.
    Durante la crescita, e la fase adolescenziale soprattutto , riuscire ad acquisire fiducia in se stessi è un aspetto fondamentale, che influenza anche molto della nostra vita adulta.  In realtà come oggi, per esempio lo   di fenomeni anti-educativi,  come il bullismo o l’idealizzazione dei canoni estetici,  rendono più tortuosa  la strada verso l’autostima. Immaginiamo una giovane ragazza tra i 14/15 anni leggermente in sovrappeso, e continuamente bombardata da immagini di  donne magrissime, oppure un giovane ragazzo costretto ad isolarsi perché vive nel terrore di essere deriso.
    Proviamo ad immedesimarci  per un attimo, nel percorso di un individuo, che in inizia ad affacciarsi alla vita,  e riflettiamo  su come può essere difficile vivere una tranquilla adolescenza. Nell’età più bella , spesso manca la spensieratezza.  L’estetica che oggi, attraverso internet ed i social è senza alcun dubbio, costantemente al centro delle nostre attenzioni,  fa nascere quel bisogno di affermarsi, “perché bello” e alla moda. Tutto appare a volte cosi ossessivo e costruito,  spesso molti ragazzi finiscono per diventare ed incarnare dei modelli, dimenticando se stessi, un qualcosa che potremmo quasi definire come una perdita della propria identità.  Si ha paura di non essere accettati o di essere giudicati. Ecco perché,  solo una vera ed autentica personalità, può  garantire ad un adolescente di restare fuori da questo impasse, che di certo non giova la personale crescita culturale di . Lo sviluppo di un pensiero critico rappresenta quindi uno degli aspetti fondamentali su cui lavorare. Partiamo dal presupposto che riuscire ad arginare il forte impatto mediatico dei media non è di certo un compito semplice, e in questo le figure adulte e competenti possano aiutare a svilupparlo. Perché ricordiamoci che una solida base, (che spesso parte dalla famiglia) Questo è un aspetto di assoluta rilevanza che non va mai tralasciato, perché spesso abbiamo il dovere di capire il pedagogista ha dovere di capire chi abbiamo  di fronte e  capitare le fragilità che hanno fatto crollare quel castello.  L’autostima va coltivata, e stimolata, e il genitore in questo può dare un forte contributo, ricordando anche semplicemente, ai propri figli di essere stati bravi per un giorno, ma mettendoli sempre di fronte ai propri limiti. Spesso involontariamente rischiamo di commettere errori grossolani. E se è vero che il mondo là fuori è una giungla è anche vero che tutti noi possiamo dare il nostro piccolo contributo per reagire di fronte ai piccoli inconvenienti della vita. Un bambino, o un adolescente che impara a camminare sulle proprie gambe sarà un uomo o una donna del domani,  che avrà sviluppato ed imparato a gestire sia le proprie paure che a tira fuori le proprie potenzialità. Non saremo mai totalmente sicuri,  e mai saremo immuni dagli errori, perché crescere vuol dire anche questo, immergersi in quel mondo, e saperci stare dentro.

    Autore:
    Dr.ssa Mariasimona Gabriele
    Educatore Sociale
    e-mail: simomaria@hotmail.it

    venerdì 18 marzo 2016

    Il pericolo delle “sette sataniche”: dall’adescamento psichico alla complessa via di fuga

    Viaggio all'interno dell'errabondo mondo delle sette sataniche

    Abstract:
    L'articolo è volutamente suddiviso in quesiti, in modo da avere una migliore chiave di lettura del discorso. Si è osservato nel dettaglio ogni tipo di pratica o adescamento condotto da adepti e reclutatori provenienti da sette sataniche; le varie e numerose pratiche vengono spiegate ed elencate nel dettaglio e, vengono forniti vari consigli su come sfuggire all'adescamento di "pseudo-amici" incontrati per caso, in un momento di difficoltà. Le sette sataniche affliggono la nostra realtà più di quanto si pensi e, parlando di devianze e problematiche socio-psicopedagogiche il dovere del professionista è renderle pubbliche.


    Verrà suddiviso l’articolo in vari quesiti, ai fini di semplificarne l’altrimenti troppo complesso schema di lettura. Partiamo dall’interrogativo più comune per cominciare ad esplorare l’errabondo e perverso universo delle sette sataniche; ‘Che cos’è una setta?’
    Essa, è in sintesi un gruppo ristretto coercitivo non riconosciuto dallo Stato, nel quale si svolgono attività prevalentemente religiose o esoteriche gestite da un guru[1] e vari adepti[2] selezionati da esso, che impongono ubbidienza incondizionata a tutti coloro che ne entrano a far parte[3].
    ‘Come si entra a far parte di una setta satanica?’
    Tramite il plagio. Ovvero un decentramento psicologico, attuato da un forte condizionamento mentale ‘continuo nel tempo’ su un particolare soggetto.

    ‘Come si entra a far parte di una setta satanica?’
    Tramite il plagio. Ovvero un decentramento psicologico, attuato da un forte condizionamento mentale ‘continuo nel tempo’ su un particolare soggetto.

    ‘Come avviene il plagio?’
    Ci sono vari metodi utilizzati dagli adepti per reclutarne di nuovi; il più comune e pericoloso è il “Love Bombing”, una bomba d’amore improvvisa che irrompe nella vita del soggetto da reclutare. Poniamo un semplicistico esempio di una situazione normalissima:

    • Io sono Marco, la mia ragazza mi ha lasciato dopo tre anni perché le piaceva un altro. Sono triste, voglio solo sparire, voglio stare da solo. Mi siedo al parco, avvolto tra i miei pensieri; (sulla stessa panchina si siede l’adepto, in veste di ‘reclutatore’ per la setta) <<Ciao, bella giornata oggi, vero?>> Lo guardo, e gli rispondo con lo sguardo basso: <<Non per me.>> Lui mi guarda vistosamente interessato alla mia condizione, ed io o per rabbia o per disperazione inizio a raccontare allo sconosciuto la mia disavventura”.
    Ecco un banalissimo esempio di come agisce perlopiù il reclutatore; è apparentemente una persona amica incontrata nel posto giusto, al momento giusto; è un individuo pressoché perfetto, al quale confidare tutto di sé senza sapere nulla di lui. Il “Love Bombing” col passare del tempo ha ritmi più serrati e la conoscenza si estende ad altri soggetti. Il reclutatore può esordire con frasi standard, come: “Vieni, ti presento altri amici che ti capiranno tanto quanto me", e quando il ‘prigioniero’ manifesta la volontà di vedere la famiglia o i parenti, il reclutatore fa l’offeso, dicendo: “I tuoi non potranno mai capirti del tutto/ Sei solo un peso per la tua famiglia/ Io sono la tua vera famiglia / Lascia perdere quegli ignoranti/ Ti presenterò la tua nuova famiglia". Il distacco dal nucleo di appartenenza avviene lentamente, ma nel momento in cui il reclutatore riesce ad adescare pienamente la vittima il passaggio è definitivo. In quel momento l’adescatore ha pieno controllo sul soggetto e può manipolarlo a suo piacimento. Altri metodi di plagio sono:

    1. Isolamento;
    2. Ripetitività;
    3. Privazione del sonno.

    Il primo, è una conseguenza del “Love Bombing”, la persona viene allontanata dalla famiglia e dai soggetti esterni al suo nucleo d’appartenenza.
    Il secondo, costringe il neofita[4] a ripetere sempre le stesse frasi, tipo cantando, recitando o di svolgere sempre gli stessi compiti manuali.
    Il terzo, indebolisce fisicamente la persona e la rende sempre più debole e malleabile.

    ‘Cosa accade una volta dentro la setta satanica?'

    Il neo-adepto deve sottostare a quelle che sono le regole stabilite dal guru dalla setta e, deve svolgere delle pratiche a dir poco terribili per invocare con la messa nera la venuta del ‘signore oscuro’[5].


    'Quali sono le pratiche sataniche utilizzate?’
    Le lascive attività all’interno della setta sono sintetizzabili in molte categorie:

    1. Cannibalismo;
    2. Demonomania (simulazione del guru di una possessione diabolica;
    3. Esibizionismo;
    4. Feticismo;
    5. Masochismo;
    6. Spermatofagia (mangiare sperma);
    7. Dermatofagia (mangiare unghie o pellicine);
    8. Coprofagia (ingerire feci proprie ed altrui);
    9. Uropotia (bere urina propria ed altrui);
    10. Necrofagia (mangiare cadaveri);
    11. Necrofilia (rapporto sessuale con un cadavere);
    12. Necromania (uccidere e manipolare il cadavere);
    13. Necrosadismo (sodomizzare un cadavere);
    14. Omosessualità;
    15. Pedofilia;
    16. Pedonecrofilia (rapporti sessuali con bambini morti);
    17. Picacismo (ingerire terra);
    18. Vampirismo (bere sangue);
    19. Sadismo;
    20. Satiriasi/ninfomania;
    21. Scopofilia (godere guardando i genitali altrui);
    22. Statuofilia (rapporto sessuale con una statua o un albero).
    ‘Perché la persona plagiata non si ribella?’
    Sarebbe come rivoltarsi contro la propria famiglia; il plagio può essere effettuato su chiunque e chiunque a sua volta può plagiare, è importante conoscere tali argomenti in modo da saper guardarsi le spalle.

    ‘Tutti possono essere vittima di plagio?’
    Certo, nessuno è talmente forte da resistere ad esso. Ovviamente il reclutatore sa come agire in base alla personalità del soggetto che ha di fronte.

    ‘Il reclutatore sceglie casualmente la propria vittima?’
    No, la vittima prima di essere osservata viene monitorata, seguita e studiata a tavolino, prima che egli/ ella si manifesti.

    ‘Come si fugge da una setta?’
    La fuga volontaria è assai rara: è importante che i cari della persona scomparsa effettuino un’opportuna denuncia alle Forze dell’Ordine, in modo da intervenire tempestivamente. L’adescato, una volta rintracciato, può impiegare mesi o addirittura anni prima di tornare alla realtà. Può essere aggressivo ed autolesionista, può attaccare parenti, amici ed agenti da un momento all’altro e prolungare il culto di Satana anche al di fuori della setta[6]. Di norma il soggetto da ‘salvare’ viene rapito dagli stessi agenti di polizia e poi tramite lo psicologo viene ricondotto alla normalità (deprogrammazione).


    Per concludere, il consiglio dell'esperto.

    ‘Come ci si protegge dall’adescamento?’
    Quando si percorre una fase temporanea o contigua di profonda depressione personale, di delusione e di chiusura riguardo la famiglia è opportuno rivolgersi ad un esperto del settore, tra cui: psicologi, psichiatri ed in alcuni casi educatori; per avere gli opportuni consigli su come ricominciare una vita normale. È chiaro che per strada, è necessario tutelarsi sui neo incontri, il che non significa isolarsi agli altri, bensì selezionare al meglio le amicizie e non concedere subito la fiducia all’alterità. Chiunque è libero di vivere la propria vita, ma conoscere queste cose può essere utile a proteggersi da coloro che, proprio quella libertà, desiderano oscurarla per sempre.

    Note:
    1: Stregone o sacerdote a capo della setta.
    2: Discepoli.
    3: Da qui in avanti si è utilizzato come riferimento il libro di Francesco Bruno “Temi di pedagogia sociale” (Vol. 3), Pensa Multimedia, Lecce, 2009, pp.121 e ss.
    4: Adescato.
    5: Vedi a riguardo: V. M. Mastronardi, R. de Luca, M. Fiori, Sette sataniche. Dalla stregoneria ai messaggi subliminali nella musica rock, dai misteri del mostro di Firenze alle <<Bestie di Satana>>, Newton Compton, Roma, 2006.
    6: Vedi: G. Moroni, Le bestie di Satana. Voci dall’incubo, Mursia Editore, Milano, 2005.

    Bibliografia:
    1. Bruno F., Temi di pedagogia sociale, (vol. 3), Pensa Multimedia, Lecce.
    2. Mastronardi V. M, de Luca M., Fiori M., Sette sataniche. Dalla stregoneria ai messaggi subliminali nella musica rock, dai misteri del mostro di Firenze alle <<Bestie di Satana>>, Newton Compton, Roma, 2006.
    3. Moroni G., Le bestie di Satana. Voci dall’incubo, Mursia Editore, Milano, 2005.

    Autore:

    Dr. Davide Piserà
    Pedagogista - Consulente familiare - Media Educator
    E-mail: davidepisera@live.com



    venerdì 11 marzo 2016

    Il ponte tra la Montessori e i giorni nostri


    È divenuta quasi una costante, sentire la preoccupazione di molte mamme riguardo a come debbano o possano gestire i propri piccoli. L’ansia di “fare e saper fare bene”, pone molte donne a riflettere se i metodi  educativi da loro scelti,  siano sufficienti a garantire uno sviluppo adeguato del bambino. In  alcuni casi, il senso di in inadeguatezza la fa da padrona.
     
    E proprio in questo scenario, che  il metodo Montessori, ritorna prepotentemente.


    Maria Montessori fu  il primo medico donna, nel secolo scorso in Italia, ha contribuito a costruire una nuova immagine e considerazione del bambino, desideroso di cresce e sperimentare il proprio contesto di vita in autonomia.
    Il suo, è un metodo educativo, che nel tempo, è riuscito ad rimanere all’avanguardia in una società odierna, veloce, sempre di corsa ed esigente, che ha costruito attorno a se’ un  sistema iperstimolato, fatto di rapporti e oggetti  mutevoli, nel quale, anche i più piccoli  ne rimangono  investiti.
    La Montessori, che ha attribuito alla pedagogia un valore scientifico, descrive  l’autentica natura dell’infanzia, e del bambino naturale, che se immaginato libero dalle  influenze negative dell’adulto, dalle sue inibizioni, e repressioni, e  collocato in un ambiente adatto alle sue esigenze,  ha la possibilità  di dar  sfogo a quell’energia creativa che ogni piccolo possiede. Il bambino assorbe in sé l’ambiente, realizzando passo dopo passo la propria personalità e il proprio adattamento alla realtà.

    È proprio nella realtà odierna, a volte fatta di ansia e di  controllo, che si manifestano le perplessità di molte madri. Già Donald Winnicott, ha  svincolato la figura materna, dall’essere  perfetta ed infallibile, lui descrive una donna, una madre, sufficientemente buona: una madre imperfetta, ma sana e affettivamente presente.

    È  possibile trovare un filo conduttore tra i due autori.

    Una madre sufficientemente buona consente al proprio bambino di conoscere e di impossessarsi  del proprio ambiente di vita, mentre nell’approccio montessoriano, il gioco e l’esplorazione, anche se pur controllati  (in termini di sicurezza),  non debbano essere pilotati da suggerimenti che castrano il senso di conquista dell’autonomia del bambino ( non fare cosi, non sporcarti, sporchi casa, non saltare, non correre, ipercorrezione, ecc), ma lascino il senso di scoperta e di successo.
    Ci si immagina un bambino capace di dar sfogo ai propri interessi, alle curiosità esplorative del momento, anche con materiali semplici (pentole, posate, colori, pasta, legumi, contenitori, ecc,), in cui l’attività ludica oltre a conservare quel valore intrinseco di divertimento, permetta al bambino di acquisire nuove competenze comportamentali e, a comprendere le cause e gli effetti delle proprie azioni. Pensate come basti giocherellare con materiali giornalieri, (esempio delle mollette), e permettere al  bambino in modo naturale, di prendere familiarità con l’oggetto, e  in una pura attività di gioco di esercitarsi nella prensione, nella pressione  e  nella coordinazione occhio – mano.

    Garantire nella scoperta, la conquista dell’autonomia.  Pensiamo alla possibilità di farli  divertire con il cibo fin da piccoli, impastare le mani, sporcarsi…fino ad arrivare a mangiare autonomamente.  Stimolarli a fare da soli, nel vestirsi, nel lavarsi nel sistemare i giochi e tant’altro, aiutarli ad accettare le piccole frustrazioni che  ne possono derivare.  
    Certo le conseguenze  sono bene note per le mamme, ma probabilmente ne vale la pena…. guardare negli occhi dei nostri piccoli, la soddisfazione di aver vinto!

    Autore:
    Dr.ssa Daniela Iaconianni
    Pedagogista - Professional counselor - Esperta in disturbi generalizzati dello sviluppo, difficoltà comportamentali e relazionali.
    E-mail: daniela.iaconianni@virgilio.it